02
Lug2018

ADDITIVI NANO: QUANDO PERSEVERARE E’ DIABOLICO

La Commissione ha recentemente pubblicato l’ultima Comunicazione relativa alle domande e risposte sull’applicazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori («regolamento FIC»). In questa Comunicazione, giuridicamente non vincolante, vi sono alcuni passaggi di non poco rilievo; uno di questi è la posizione della Commissione sulla (non) indicazione dei componenti costituiti da nanomateriali ingegnerizzati in taluni casi.

Come noto, l’articolo 18, paragrafo 3, del FIC stabilisce che tutti gli ingredienti presenti sotto forma di nanomateriali ingegnerizzati devono essere chiaramente indicati nell’elenco degli ingredienti con la ) la dicitura «nano», tra parentesi, per garantire che i consumatori siano informati.  Formalmente non sono previste deroghe o esenzioni.

Nella Comunicazione (punto 2.4.2.) si affronta la possibilità di derogare a questo obbligo. Secondo la Commissione, sarebbe possibile omettere la dizione nano per quegli additivi e enzimi che, in base al principio del carry over, potrebbero già essere omessi dalla lista degli ingredienti in base all’art. 20 (b)  e (c) del FIC. Secondo la Commissione anche le sostanze (nano-ingegnerizzate) impiegate come coadiuvanti tecnologici non soggiacerebbero all’obbligo dell’art. 18.

Come noto, il principio del carry over è previsto da tempo dalla normativa in materia di additivi (oggi, v. art. 18, Reg. n. 1333/2008) e consente di evitare l’obbligo di indicare nella lista degli ingredienti di quegli additivi che sono presenti in un alimento finito, non perché impiegato direttamente dal produttore, ma perché componenti di un ingrediente del prodotto finito. A tal fine, però, è necessario che il componente “nascosto” non abbia più alcuna funzione tecnologica nell’alimento finito.

In tal modo, con grande raffinatezza, la Commissione consacra l’espunzione degli additivi/enzimi nano dall’obbligo di etichettatura specifico introdotto con il reg. n. 1169/2011. Obbiettivo che, cinque anni prima, aveva tentato di introdurre surrettiziamente per mezzo di un regolamento delegato ritirato in zona cesarini per evitare il veto del Parlamento. Nel 2013, infatti, l’allora commissione Barroso aveva approvato un regolamento delegato con cui si stabiliva che “gli additivi alimentari inclusi negli elenchi dell’Unione in forza dei regolamenti (UE) n. 1129/2011 e (UE) n. 1130/2011 non devono [obbligatoriamente] recare la dicitura «nano» nell’elenco degli ingredienti e non devono rientrare nella definizione di nanomateriali ingegnerizzati” V. Regolamento delegato n. 1363/2013 della Commissione del 12 dicembre 2013, poi ritirato).

Il tentativo del 2013, impudicamente argomentato sul rilievo che «l’indicazione di tali additivi alimentari nell’elenco degli ingredienti seguita dalla dicitura «nano» fra parentesi può tuttavia confondere i consumatori, dato che può indurli a credere che gli additivi siano nuovi mentre in realtà sono stati utilizzati in tale forma nei prodotti alimentari per decenni» (V. cons. 11, Reg. 1363/2013) naufragò a seguito delle proteste del Parlamento europeo che, nell’esercizio del potere di veto riconosciuto in questi casi dall’art. 51.5 Reg. n. 1169/2011, sollevò formale obbiezione con Risoluzione del 12 marzo 2014.

Bloccato il (maldrestro) tentativo di porre, in via delegata, una esenzione generale dai requisiti di etichettatura per tutti gli additivi alimentari nano-ingegnerizzati, ora la Commissione suggella una interpretazione nello stesso senso.

Sul piano formale il ragionamento fila: l’art. 20 del FIC, a ben guardare, nel prevedere i casi di omissione dei costituenti dall’elenco, fa salvo solo il caso dei componenti allergenici, non altri. Sembrano quindi esserci i margini per l’argomento ubi lex voluit dixit, ubi tacuit noluit.

Se però si riflette sulla concreta portata che l’impostazione così vidimata dalla Comunicazione della Commissione può avere, resta la legittima considerazione che non si sia poi così lontani da una esenzione generale contro cui il Parlamento europeo si è decisamente opposto. Vari fattori suggeriscono tale conclusione: in primo luogo, spetta all’OSA valutare la presenza di questi requisiti e all’autorità di controllo eventualmente rilevare situazioni rilevanti; in secondo luogo, però, viene in causa la limitatezza tecnologica che ancora oggi frustra la possibilità di individuare efficacemente l’uso di nanoparticelle nei diversi prodotti, alimentari e non; senza dire, in tertiis, della scarsezza di risorse anche finanziare del controllo ufficiale. Come si potrà, ad esempio, efficacemente verificare la conformità ai requisiti , fosse solo quello della assenza di funzione tecnologica?

In tale contesto e su queste premesse, il diritto di conoscere lo status tecnologico di un alimento si infrange sul laconico pronunciamento condensato nel punto 2.4.2.

Sic transit.

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