19
Mar2022

LEGGE ITALIANA SUL BIOLOGICO – parte I

Approvata definitivamente il 2 marzo 2022 dal Senato in seconda lettura, la Legge 9 marzo 2022, n. 23, recante “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale (d’ora in avanti, per brevità, legge sul biologico) e sarà applicabile dal 7 aprile 2022.

Un iter lungo, iniziato nel dicembre 2018, e controverso, risucchiato dalle polemiche sulla parificazione della agricoltura biodinamica a quella biologica, poi abbandonata con l’approvazione con modificazioni da parte della Camera dei deputati (9 febbraio) e, meno di un mese dopo, dal Senato in via definitiva.

Successione delle letture parlamentari
C.290 T. U. con C.410C.1314C.1386
approvato in testo unificato
11 dicembre 2018
S.988 approvato con modificazioni 20 maggio 2021
C.290-410-1314-1386-B approvato con modificazioni 9 febbraio 2022
S.988-B approvato definitivamente, non ancora pubblicato 2 marzo 2022

 

Sguardo d’insieme

La nuova legge si compone di 21 articoli disposti in 8 capi: norme generali (capo I) e sulle autorità nazionali e locali (capo II); disposizioni dedicate agli organismi di settore (capo III), agli strumenti di programmazione, di ricerca e di finanziamento (capo V) e in materia di organizzazione della produzione e del mercato (capo VI); la disciplina si completa con norme volte alla istituzione del marchio biologico nazionale (capo IV) e alla tutela della produzione biologica e dei consumatori (capo VII), unitamente a disposizioni finale (capo VIII).

Già da questo preliminare excursus appare chiaro l’intento di fornire l’ordinamento giuridico nazionale di una legge quadro volta a cristallizzare un «sistema» composito, in cui operano soggetti diversi, autorità nazionali e i diversi e numerosi organismi creati o riconosciuti dalla legge (si pensi, a mero esempio, al Tavolo tecnico per la produzione biologica, ai distretti biologici o alle altre organizzazioni interprofessionali, su cui si tornerà), dotato di regole e meccanismi di regolazione tesi a mettere in pratica «azioni per la salvaguardia, la promozione e lo sviluppo della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico, compresa la semplificazione amministrativa, e i mezzi finanziari per il sostegno alla ricerca e alle iniziative per lo sviluppo della produzione biologica, la realizzazione di campagne di informazione e di comunicazione istituzionale, nonché la promozione dell’utilizzo di prodotti ottenuti con il metodo biologico da parte degli enti pubblici e delle istituzioni», finalità quest’ultima cui il venturo  marchio biologico italiano (art. 6) dovrebbe fornire gli elementi di valorizzazione sui mercati, si spera anche esteri.

Una legge quadro che ambisce a porre le basi  per una diversa collocazione della produzione biologica nel quadro dei nuovi paradigmi di sostenibilità (non solo) ambientale. Infatti, se anche la legge in parola riprende, all’art. 2, la definizione normativa di produzione biologica di cui al Regolamento UE n. 2018/848, il legislatore nazionale non rinuncia a una proclamazione più ampia e programmatica di tale settore normativo, secondo cui la produzione biologica è intesa come «sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione alimentare, basato sull’interazione tra le migliori prassi in materia di ambiente e azione per il clima e di salvaguardia delle risorse naturali e, grazie all’applicazione di norme rigorose di produzione, contribuisce alla qualità dei prodotti, alla sicurezza alimentare, al benessere degli animali, allo sviluppo rurale, alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, alla salvaguardia della biodiversità e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra stabiliti dall’articolo 7 bis, paragrafo 2, della direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 ottobre 1998, e fornisce in tale ambito appositi servizi eco-sistemici, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e delle competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano».

In tal senso e in questa prospettiva programmatica, la legge, sempre nel suo articolo di apertura, quasi parafrasando passaggi della nostra Costituzione, assegna allo «Stato» «la promozione e sostegno della produzione con metodo biologico, anche attraverso interventi volti a incentivare la costituzione di organismi, punti e piattaforme di aggregazione del prodotto e di filiere biologiche». Su questa base politica si innestano i diversi piani di regolamentazione del settore produttivo nazionale in una logica visibilmente lontana dal laissez faire proprio del periodo post guerra fredda riprendendo, per lo meno negli orientamenti generali, alcuni profili della disciplina nazionale in tema di produzioni a marchio DOP-IGP sull’esempio della legge 128/1998 (art. 14).

Va anche preliminarmente precisato che la legge italiana sul biologico non tange gli aspetti propriamente regolatori della produzione e commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari, e i relativi controlli, armonizzati in sede UE, salvo per la delega al Governo contenuta all’art. 19, e alle norme a favore della più solida realizzazione di filiere per la produzioni di sementi per la produzione vegetale biologica (art. 18).

 

Autorità e altri soggetti del Sistema

Si è già anticipato che la legge nazionale sul biologico si muove in una prospettiva tendenzialmente sistemica: al vertice vi è il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) quale «autorità di indirizzo e coordinamento a livello nazionale delle attività amministrative e tecnico-scientifiche inerenti all’applicazione della normativa europea in materia di produzione biologica», chiamata a dialogare con gli altri centri normativi costituzionalmente imposti (regioni e province autonome) e gli altri soggetti privati cui la stessa legge assegna un nuovo e rilevante ruolo.

Da un lato, quindi, stante la natura concorrente delle materie coinvolte, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano le quali sono definite «autorità locali competenti, nel rispettivo territorio, per lo svolgimento delle attività amministrative e tecnico-scientifiche relative alla produzione biologica».

È bene precisare che le competenze ora menzionate non pregiudicano e non intaccano quanto stabilito decreto legislativo 23 febbraio 2018, n. 20 in tema di la competenza in materia di controlli, né il riparto di competenze primarie e concorrenti tra Stato, regioni e province autonome come codificato sempre dal predetto decreto legislativo n. 20/2018.  A quest’ultimo proposito, altro non si poteva attendere, stante l’articolo 117 Costituzione (e il fallimento della riforma del Titolo V della Costituzione, causa esito del referendum del dicembre 2016).

Come si è anticipato la legge istituisce o riconosce sul piano propriamente legislativo l’operatività, a vari fini e con diversi ruoli, di una galassia di altri soggetti, cui sono connesse alcune linee operative di azione in termini di coordinamento, ricerca e programmazione produttiva. Tra questi i seguenti:

  • Il Tavolo tecnico per la produzione biologica (art. 5);
  • Il CREA quale ente pubblico che fornisce supporto scientifico al MiPAAF;
  • I distretti biologici (art. 13);
  • Le Organizzazioni interprofessionali nella filiera biologica (art. 14);
  • Le associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale nel settore (art. 15);
  • Il Tavolo di filiera per i prodotti biologici (art. 16);
  • Le Organizzazioni dei produttori biologici (art. 17).

 

Il tavolo tecnico per la produzione biologica

Il Tavolo tecnico per la produzione biologica, istituito formalmente dall’art. 5, è certamente uno dei gangli del nuovo sistema legislativo nazionale, atteso che le sue riunioni sono volte a assicurare il coordinamento tra i diversi portatori di interessi nel settore della produzione biologica.

Si tratta di una riorganizzazione, e codificazione mediante una fonte primaria, dell’operatività di due organismi consultivi già in essere in ragione di decreti ministeriali passati e che sono quindi soppressi: il Comitato consultivo per l’agricoltura biologica ed ecocompatibile e il Tavolo Tecnico compartecipato in Agricoltura Biologica.

Il nuovo Tavolo Tecnico delinea «gli indirizzi e le priorità» per il Piano d’azione nazionale per la produzione biologica e i prodotti biologici di cui all’articolo 7, «con particolare attenzione alla ricerca nell’ambito della produzione biologica»; esso  «esprime pareri in merito ai provvedimenti concernenti la produzione biologica a livello nazionale e dell’Unione europea», propone  «gli interventi per l’indirizzo e l’organizzazione delle attività di promozione dei prodotti biologici, nonché favorire il coordinamento» tra le autorità nazionali e locali, da un lato e gli operatori, individua «le strategie d’azione per favorire l’ingresso e la conversione delle aziende convenzionali al metodo biologico».

Visto il mandato del Tavolo tecnico, si può apprezzarne ora la composizione data da tre rappresentanti nominati dal MiPAAF, di cui uno con funzioni di presidente, da un rappresentante nominato dal Ministro della salute, da un rappresentante nominato dal Ministro della transizione ecologica, da quattro rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, da un rappresentante dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, da un rappresentante della cooperazione agricola, da quattro rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole a vocazione generale, da un rappresentante per ciascuna delle associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito della produzione biologica e da un rappresentante delle associazioni maggiormente rappresentative nell’ambito della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biodinamico, da due rappresentanti delle associazioni dei produttori dei mezzi tecnici utilizzati nell’agricoltura biologica, da tre rappresentanti delle associazioni dei consumatori, da tre rappresentanti della ricerca scientifica applicata nel settore della produzione biologica, di cui uno nominato dall’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale, uno dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) e uno da altri istituti di ricerca pubblici, da tre rappresentanti dei distretti biologici e da tre rappresentanti degli organismi di controllo.

 

I distretti biologici

Altro “attore” del quadro tratteggiato dalla legge sul biologico è il distretto biologico. Come noto, si tratta di note forme di coordinamento territoriale nel tempo sviluppatesi dal basso come forme innovative di sviluppo rurale anche in ambito della PAC. Alcune Regioni, sia con riferimenti diretti nei PSR (es: una maggiorazione del pagamento per l’agricoltura biologica nel PSR Liguria a favore delle aziende localizzate nei distretti biologici riconosciuti per legge, un richiamo ai progetti di cooperazione in grado di “comporre la filiera corta all’interno dei bio-distretti” nel testo del PSR della Calabria) sia con interventi legislativi che assicurino priorità di accesso ai finanziamenti, come stabilito, per esempio, dalle L. R. 9/2017 della Regione Lazio e dalla L.R. 66/2009 della Regione Liguria. Si stima che al 2021 i distretti formalmente costituiti rappresentino il 5,4% del territorio nazionale e il 3,5% della popolazione, con una grande diversità in termini di strutture, obiettivi, maturità istituzionale.

Già con il decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, atto di orientamento e modernizzazione del settore agricolo, si era introdotta una embrionale disciplina dei distretti biologici intesi «come territori per i quali agricoltori biologici, trasformatori, associazioni di consumatori o enti locali abbiano stipulato e sottoscritto protocolli per la diffusione del metodo biologico di coltivazione, per la sua divulgazione nonché’ per il sostegno e la valorizzazione della gestione sostenibile anche di attività diverse dall’agricoltura. Nelle regioni che abbiano adottato una normativa specifica in materia di biodistretti o distretti biologici si applicano le definizioni stabilite dalla medesima normativa».

Con la legge sul biologico (art. 15) si introducono ulteriori disposizioni, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 13 del decreto legislativo n. 228/2001.  A questo proposito in sede di prima lettura sembra potersi distinguere all’interno dell’articolo 15 tra disposizioni programmatiche e di indirizzo frammiste a disposizioni più precise sul piano giuridico.

Alla prima categoria sembra appartenere il lungo comma 2 che enuclea le caratteristiche topiche del distretto biologico: vi si prevede che costituiscono distretti biologici anche i «sistemi produttivi locali, anche di carattere interprovinciale o interregionale, a spiccata vocazione agricola nei quali siano significativi: a)la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione e la preparazione alimentare, all’interno del territorio individuato dal biodistretto, di prodotti biologici conformemente alla normativa vigente in materia; b) la produzione primaria biologica che insiste in un territorio sovracomunale, ovverosia comprendente aree appartenenti a più comuni».

Stessa valenza programmatica sembrerebbe propria del restante comma 2 dell’art. 15, in cui si insiste sulla «integrazione con le altre attività economiche presenti nell’area del distretto stesso e per la presenza di aree paesaggisticamente rilevanti, comprese le aree naturali protette nazionali e regionali» riconosciuti da fonti legislative , nonché sull’orientamento verso («I distretti biologici si caratterizzano, altresì, per..») «il limitato uso dei prodotti fitosanitari al loro interno», prevedendosi che «gli enti pubblici possono vietare l’uso di diserbanti per la pulizia delle strade e delle aree pubbliche e stabilire agevolazioni compensative per le imprese». Queste disposizioni di per sé sembrano inidonee a creare restrizioni ad altre attività lecite (agricoltura convenzionale) mentre v’è da aspettarsi che l’azione politica sottesa alla costituzione e funzionamento dei biodistretti interesserà l’intervento giurisprudenziale, come peraltro già accaduto.

All’interno del comma 2, vi è una tuttavia disposizione che, rispetto a quanto ora detto, consente riflessioni in parte diverse. L’ultima frase del comma citato infatti prevede che «Gli agricoltori convenzionali adottano le pratiche necessarie per impedire l’inquinamento accidentale delle coltivazioni biologiche». Sulla portata e le ricadute giuridiche di quest’ultima disposizione giuridica è doveroso riflettere: da un lato, l’ampiezza (pratiche necessarie) e continenza (adottano e non “devono adottare”) della formulazione da un lato lascia presagire interventi diretti a regolamentare la co-esistenza tra modelli colturali diversi (se non divergenti) che avranno in tale obbligo una base giuridica ad hoc; dall’altro, non possono sfuggire le indubbie connessioni del tema specifico con la recente modifica dell’art. 41 della Costituzione, approvata non a caso nello stesso arco temporale (8 febbraio 2022) secondo cui «l’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Si torna al tema della coesistenza tra sistemi colturali diversi e della gestione della contaminazione accidentale che, in base a un decreto ministeriale (D.M. 309/2011, come novellato nel 2020), impone la decertificazione nel caso di superamento della soglia dello 0,01 mg/k di residui di sostanze non ammesse (ad esempio, ma non solo, residui di fitosanitari non ammessi in biologico) anche quando imputabile a contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile. La normativa nazionale ora richiamata, pur compatibile con l’armonizzazione del Regolamento n. 2018/848, giusto l’art. 29 par. 5, si deve comunque integrare con le altre disposizioni armonizzate a livello UE tra cui certamente l’onere per l’agricoltore biologico di predisporre oculate e appropriate misure precauzionali destinate esattamente allo scopo di eliminare, per quanto possibile, le fonti di contaminazione anche dall’esterno del limite aziendale.

A parte quest’ultimo profilo, un dato appare sufficientemente chiaro: le funzioni che la legge sul biologico assegna ai distretti biologici non sembrano assurgere a una funzione regolatoria o giuridica in senso stretto: se si guarda al comma 5, ad esempio, che contiene l’elenco dei “fini” istituzionali, non vi è alcun accenno a una potestà normativa o paranormativa. Infatti, i distretti biologici sono istituiti al fine di:

  1. a) promuovere la conversione alla produzione biologica e incentivare l’uso sostenibile delle risorse naturali e locali nei processi produttivi agricoli, nonché garantire la tutela degli ecosistemi, sostenendo la progettazione e l’innovazione al servizio di un’economia circolare;
  2. b) stimolare e favorire l’approccio territoriale alla conversione e al mantenimento della produzione biologica, anche al di fuori dei confini amministrativi, promuovendo la coesione e la partecipazione di tutti i soggetti economici e sociali con l’obiettivo di perseguire uno sviluppo attento alla conservazione delle risorse, impiegando le stesse nei processi produttivi in modo da salvaguardare l’ambiente, la salute e le diversità locali;
  3. c) semplificare, per i produttori biologici operanti nel distretto, l’applicazione delle norme di certificazione biologica e delle norme di certificazione ambientale e territoriale previste dalla normativa vigente;
  4. d) favorire lo sviluppo, la valorizzazione e la promozione dei processi di preparazione, di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti biologici;
  5. e) promuovere e sostenere le attività multifunzionali collegate alla produzione biologica, quali la somministrazione di cibi biologici nella ristorazione pubblica e collettiva, la vendita diretta di prodotti biologici, l’attività agrituristica e di pescaturismo, il turismo rurale, l’agricoltura sociale, le azioni finalizzate alla tutela, alla valorizzazione e alla conservazione della biodiversità agricola e naturale, nonché la riduzione dell’uso della plastica;
  6. f) promuovere una maggiore diffusione e valorizzazione a livello locale dei prodotti biologici;
  7. g) promuovere e realizzare progetti di ricerca partecipata con le aziende e la diffusione delle pratiche innovative

Un ruolo ancillare, balsamico, quasi un coadiuvante, ma niente di più stringente, per lo meno sul piano della legislazione sulla produzione e commercio di alimenti.

Va notato che la legge sul biologico assegna, non al distretto ma al Ministero, mediante  ulteriori atti normativi, la eventuale predisposizione di «appositi interventi per ridurre gli impatti antropici sul suolo, sulle acque e sull’atmosfera causati da impianti o da altre installazioni che svolgono le attività» industriali soggette all’autorizzazione integrata ambientale ma anche «da altre fonti di rischio significativo per la produzione biologica, eccetto gli impianti o le altre installazioni la cui attività è connessa direttamente alla lavorazione e alla trasformazione dei prodotti connessi all’attività dell’azienda», da disporsi con decreti concertati tra il MiPAAF, Ministero della transizione ecologica e con il Ministero dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanenti.

Per completezza vale anche ricordare che i distretti biologici che abbiano ottenuto il riconoscimento giuridico, secondo requisiti e procedure demandate alla normazione del MiPAAF in concerto con regioni e province autonome,  operano nella «presentazione delle domande per i contributi nell’ambito della Politica agricola comune dell’Unione europea e della partecipazione ai programmi di ricerca nazionali». Il consiglio direttivo, organo di vertice previsto dall’art. 15, co. 7, è incaricato della rappresentanza delle istanze amministrative, economiche e commerciali del distretto, anche attraverso la predisposizione di modelli semplificati per la gestione delle pratiche amministrative.

 

Organizzazioni interprofessionali nella filiera biologica (art. 14)

Un ulteriore soggetto riceve attenzione dalla legge sul biologico: si tratta delle organizzazioni interprofessionali costituite da rappresentanti delle attività economiche connesse alla produzione e ad almeno una delle fasi della trasformazione o del commercio dei prodotti biologici oppure costituite per iniziativa delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale nei settori della produzione, della trasformazione e del commercio dei prodotti biologici, che in ogni caso, abbiano tra i fini associativi, quelli indicati dalla legge (art. 14, co.1, lett. c) e co.6).

Tali organizzazioni sono destinate a svolgere un ruolo non secondario, che si intreccia con quello propriamente pubblico, che oggi, fosse solo in forza del principio di sussidiarietà e per la limitatezza dell’agire pubblico, è demandato o co-partecipato da privati: le organizzazioni interprofessionali sono chiamate a migliorare la conoscenza e la trasparenza della produzione e del mercato, mediante la pubblicazione di dati statistici aggregati sui costi di produzione, sui prezzi, corredati eventualmente di relativi indici, sui volumi e sulla durata dei contratti precedentemente conclusi e mediante la realizzazione di analisi sui possibili sviluppi futuri del mercato a livello regionale, nazionale o internazionale. Esse possono altresì contribuire a un migliore coordinamento delle modalità di immissione dei prodotti sul mercato, attraverso ricerche e studi di mercato, valorizzare «in modo ottimale il potenziale dei prodotti biologici», e fornire le informazioni e svolgere ricerche necessarie per «innovare, razionalizzare e migliorare la produzione, la trasformazione e la commercializzazione e orientando «verso prodotti biologici più adatti al fabbisogno del mercato e alle aspettative dei consumatori, avendo particolare riguardo alla protezione dell’ambiente attraverso metodi atti a limitare l’impiego di prodotti fitosanitari, a garantire la salvaguardia del suolo e delle acque e a rafforzare la sicurezza sanitaria degli alimenti; «promuovere il consumo dei prodotti biologici, anche attraverso programmi di educazione alimentare» e realizzare ogni azione atta a tutelare e promuovere la produzione biologica attraverso attività di ricerca per l’individuazione di metodi di produzione sostenibili più rispettosi dell’ambiente».

Una attenzione a parte va riservata al ruolo che le organizzazioni interprofessionali possono svolgere con riferimento al «rispetto della disciplina delle relazioni contrattuali in materia di cessione dei prodotti agricoli e agroalimentari, di cui all’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n.1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27». Evidentemente il legislatore nazionale in seconda lettura, entrambe svoltesi nel 2022, ha dimenticato che tale disposizione sia stata abrogata dal – e sostituita dalla ben più strutturata disciplina del – decreto legislativo n. 198/2021 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Disattenzioni a parte (e relativo imbarazzo nostro) il ruolo delle organizzazioni interprofessionali, relativo alla redazione di «contratti-tipo compatibili con la vigente normativa dell’Unione europea per la vendita di prodotti agricoli biologici ad acquirenti o per la fornitura di prodotti trasformati a distributori e rivenditori al minuto, tenendo conto della necessità di ottenere condizioni concorrenziali eque e di evitare distorsioni del mercato» dovrebbe confrontarsi quindi con la più ampia e strutturata disciplina contenuta oggi nel decreto legislativo n. 198/2021 che proprio il citato articolo 62 ha abrogato e sostituito.

Nel disegno legislativo in commento tali organizzazioni possono operare con un diverso raggio d’azione. In via ordinaria, le regole adottate secondo i propri statuti sono vincolanti per le imprese aderenti e, per quel che riguarda «contributi obbligatori» questi sono ammessi «a condizione che dette regole, nel rispetto delle vigenti norme dell’Unione europea, non comportino restrizioni della concorrenza ad eccezione degli accordi volti ad effettuare una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o ad attuare un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta» e che tali accordi siano «adottati all’unanimità degli associati interessati al prodotto».

In via secondaria, si prevedono (art. 14, commi da 8 a 11) alcuni meccanismi mediante i quali le regole interne di tali organizzazioni interprofessionali possano diventare cogenti e coercibili anche verso soggetti non aderenti. Più precisamente, una organizzazione interprofessionale può presentare al Ministero una richiesta di estensione delle proprie regole interne anche agli «operatori attivi, individualmente o in gruppo, nella o nelle medesime circoscrizioni economiche e non aderenti all’organizzazione». Parimenti possono chiedere «l’istituzione di contributi obbligatori, connessi all’applicazione delle regole estese agli operatori economici ai quali la medesima regola è suscettibile di applicazione».

Con le dovute differenze, non sembra azzardato evocare il caso dei consorzi di tutela DOP-IGP erga omnes, cioè di soggetti privati con funzioni e poteri impositivi che travalicano la sfera degli associati. Certo, nel caso delle Organizzazioni interprofessionali del biologico l’estensione erga omnes «è disposta, per un periodo limitato» e secondo regole procedurale articolate se non anche macchinose.

 

Il tavolo di filiera per i prodotti biologici

Altro tavolo tecnico è quello previsto all’art. 16 deputato a «promuovere l’organizzazione del mercato dei prodotti biologici e la stipulazione delle intese di filiera di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n.102.

Questo tavolo, da istituirsi con decreto del MiPAAF, propone al Ministero le intese di filiera sottoscritte dagli organismi maggiormente rappresentativi a livello nazionale nei settori della produzione, della trasformazione e del commercio dei prodotti biologici presenti nel Tavolo tecnico nonché le intese stipulate e proposte nell’ambito delle organizzazioni interprofessionali. Le intese di filiera per i prodotti biologici ammesse devono essere finalizzate agli scopi tipicizzati dalla norma e quindi: «a) perseguire uno sviluppo volto a valorizzare le produzioni biologiche nonché i prodotti e i sottoprodotti derivanti dalle diverse fasi della filiera biologica; b) favorire lo sviluppo dei processi di preparazione e di trasformazione con metodo biologico, consentendo a tutti gli operatori della filiera di ottimizzare i costi di produzione; c) conservare il territorio e salvaguardare l’ambiente, la salute pubblica, le risorse naturali e la biodiversità; d) garantire la tracciabilità delle produzioni e la tutela degli operatori e dei consumatori finali; e) promuovere e sostenere le attività connesse delle aziende che adottano il metodo dell’agricoltura biologica; f) promuovere l’istituzione e lo sviluppo dei distretti biologici; g) valorizzare i rapporti organici con le organizzazioni di produttori biologici allo scopo di consentire agli stessi la pianificazione e la programmazione della produzione».

L’intesa di filiera è comunicata al Ministero, il quale, dopo la verifica della compatibilità con la normativa dell’Unione europea e nazionale, richiede il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, per i profili concorrenziali. Il parere dell’AGCM non è vincolante. L’intesa va pubblicata in Gazzetta Ufficiale.

Le intese di filiera possono infatti porre rischi per la concorrenza e pertanto anche la legge sul biologico prevede che esse non possano comportare restrizioni della concorrenza anche se è ammesso «prevedere specifici accordi volti a effettuare una programmazione previsionale e coordinata della produzione in funzione degli sbocchi di mercato o ad attuare un programma di miglioramento della qualità che abbia come conseguenza diretta una limitazione del volume di offerta, nel rispetto delle vigenti norme dell’Unione europea e nazionali».

 

Organizzazioni di produttori biologici

La legge sul biologico prevede anche il riconoscimento delle organizzazioni di produttori in presenza del riscontro del possesso di taluni requisiti che saranno definiti con successivo decreto del MiPAAF. La legge prevede anche una seconda possibilità di riconoscimento riservata a talune ipotesi organizzazioni dei produttori.

 

Il Marchio Biologico italiano

La legge sul biologico istituisce (art. 6) il marchio biologico italiano per caratterizzare i prodotti biologici ottenuti da materia prima italiana contraddistinti dall’indicazione «Biologico italiano». In tal modo anche l’Italia si dota di un marchio per qualificare sul mercato la produzione nazionale in biologico, così come già accaduto in Francia o in Germania. Diversamente da questi ultimi, che non prevedono limiti all’utilizzabilità del marchio basati sull’origine del prodotto o dei suoi ingredienti, l’articolo 6 circoscrive il marchio biologico italiano ai prodotti biologici ottenuti da materia prima italiana. Sul punto occorre sottolineare, a scanso di eventuali equivoci, che il regolamento UE 2018/848, così come il precedente Reg. CE 834/2007, prevede espressamente (art. 33) la facoltà di utilizzare oltre al logo unionale di conformità (la foglia stellata in campo verde), altri loghi nazionali o privati.

Almeno sotto questo profilo, sembrano sussistere i presupposti dell’obbligo di notifica alla Commissione in base alla direttiva c.d. allarme (Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazioni).

In analogia ad altri segni nel settore agroalimentare di «proprietà esclusiva del Ministero», come lo SQNPI- Sistema di Qualità Nazionale di Produzione Integrata, si tratterà di un marchio collettivo, probabilmente solo figurativo. Il necessario regolamento d’uso, previsto dalla legge sui marchi, sarà stabilito con decreto del Ministro, da emanarsi previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

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