FRODE NEL COMMERCIO ALIMENTARE: NUOVA SENTENZA DELLA CASSAZIONE

La Corte di cassazione, sez. III Penale, ha recentemente ribadito che integra il tentativo di frode in commercio anche la mera esposizione sul banco vendita di prodotti con segni mendaci, indipendentemente dal contatto con la clientela. Si tratta di uno temi classici del diritto penale alimentare.

Tale decisione rinforza la consolidata giurisprudenza sul punto: in caso di punto vendita al consumatore finale, in mancanza di esposizione al pubblico di alimenti con segni mendaci o con etichetta alterata o sostituita, la semplice detenzione all’interno del negozio (o di un deposito) di tali prodotti alimentari non integra – in mancanza di altri elementi – gli estremi del tentativo di frode in commercio, essendo ben possibile che quella merce sia stata accantonata per essere successivamente eliminata.

Si ricordi che nel caso di commercio all’ingrosso la Cassazione adotta una linea interpretativa parzialmente diversa: infatti è configurabile il tentativo di frode nell’esercizio del commercio nel caso di detenzione da parte di un commerciante all’ingrosso, nei propri magazzini, pur senza esposizione al pubblico, di prodotti non conformi al dichiarato in vista della successiva distribuzione ai commercianti al dettaglio; infatti, nel caso di vendita all’ingrosso la valutazione dell’univocità degli atti non può prescindere dalla considerazione delle caratteristiche proprie di tale tipo di attività e delle modalità con le quali normalmente essa si svolge (Cassazione penale  sez. III, 06 ottobre 2004).

Il caso deciso con sentenza n. 9276/2011

Il caso originava da una ispezione nei locali dell’imputato nel corso delle quali erano state raccolte come prove alcune etichette di prodotti alimentari giacenti nel cestino dei rifiuti recanti una data di scadenza diversa e antecedente apposta sui prodotti, presumibilmente staccata e sostituita con etichette recanti date diverse e posteriori. Nella specie si trattava di un pezzo di fesa magra di Kg. 6,700 indicante una data – 3 gennaio 2005 – diversa da quella del 1 gennaio 2005 contenuta nel vassoio da dove quel pezzo di carne era stato estratto, per essere contestualmente posizionato sul banco vendita.

Alterazione delle etichette alimentari: qualche precisazione

La sentenza qui commentata ribadisce che uno dei tratti qualificanti la condotta penalmente della frode in commercio (articolo 515 del codice penale) “è dato proprio dalla diversa etichettatura della data di scadenza rispetto a quella originaria che implica la messa in vendita di aliud pro alio”.

Si ricordi che la messa in vendita di prodotti scaduti di validità può integrare il diverso delitto di cui all’art. 516 c.p. (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) solo qualora sia concretamente dimostrato che la singola merce abbia perso le sue qualità specifiche. Il superamento della cosidetta shefl life dei prodotti alimentari non comporta necessariamente la perdita di genuinità degli stessi afferma la Corte (Cassazione penale, sez. un., 25/10/2000, n. 28).

La sentenza da ultimo citata è dirimente per comprendere i limiti di configurabilità del tentativo di frode in commercio allorquando sia esposta per la vendita della merce recante un “termine minimo di conservazione” differente da quello originariamente indicato dal produttore, perché alterato o sostituito dal venditore.

Con specifico riferimento alla vendita di prodotti alimentari, che sono oggetto di legislazione specifica, nella giurisprudenza delle sezioni semplici della Corte di cassazione si registravano, prima della sentenza delle sezioni unite n. 28/2000, due opposti indirizzi in ordine alla configurabilità del tentativo nel delitto di frode in commercio relativo ai prodotti alimentari scaduti con etichetta alterata o sostituita: da un lato chi sosteneva che per il tentativo di frode fosse necessario un effettivo contatto con il potenziale cliente, dall’altro chi riteneva, invece, sufficiente che il commerciante si limitasse ad esporre per la vendita la merce in questione.

Tralasciando in questa sede i vari argomenti a sostegno delle diverse tesi, per stabilire se si sia in presenza di un delitto tentato ovvero di semplici atti preparatori non punibili, occorre fare riferimento ai concetti di “idoneità” e di “univocità” di cui all’articolo 56 C.P.

Ebbene, secondo la Corte, non può dubitarsi che esporre sul bancone di un esercizio commerciale dei prodotti alimentari scaduti, ma con la data di scadenza alterata, costituisca – per usare le parole della Relazione al Re del codice penale – un atto di per sé “capace di produrre l’evento”del delitto di frode in commercio e cioè la consegna all’acquirente di una cosa mobile non conforme a quella convenuta.

In merito al secondo requisito (l’univocità), riprendendo la citata Relazione al Re del codice penale (§ 39), per essere univoci gli atti devono avere “un valore tale: a) da rivelare l’intenzione di delinquere; b) da escludere il dubbio che si tratti di un principio d’estrinsecazione dell’intenzione di compiere un fatto lecito o giuridicamente indifferente; c) da manifestare l’intenzione di commettere un determinato delitto”.

Partendo da tali concetti, autorevole dottrina ha sostenuto che l’azione dell’agente è univoca allorquando in sé, per quello che è e per il modo in cui è compiuta, ne rivela l’intenzione; ed ha, altresì, specificato che per potersi parlare di univocità è necessario che sia posta in essere un’azione che, secondo ciò che accade di solito, non viene compiuta se non per commettere quel dato fatto criminoso.

Da ciò consegue che integra il tentativo di frode in commercio, perché idonea e diretta in modo non equivoco alla vendita della merce ai potenziali acquirenti, la condotta dell’esercente che esponga sui banchi o comunque offra al pubblico prodotti alimentari scaduti sulle cui confezioni sia stata alterata o sostituita l’originale indicazione del termine minimo di conservazione. Il tentativo non è viceversa configurabile, per l’assenza del requisito dell’univocità degli atti, ove i prodotti con etichetta alterata o sostituita siano semplicemente detenuti all’interno dell’esercizio o in un deposito senza essere esposti o in qualche modo offerti al pubblico.

avv. Daniele Pisanello

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