23
Lug2019

IMPORTAZIONI DI LATTE: L’ACCESSO CIVICO SECONDO IL CONSIGLIO DI STATO

Secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato, una delle principali associazioni rappresentative del mondo agricolo sarebbe legittimata a ottenere l’accesso civico alle informazioni riguardanti il mercato caseario (in particolare le informazioni, contenute nella banca dati del Ministero della Salute, relative alle importazioni di latte da parte dei singoli operatori italiani), in quanto richiesta funzionale a garantire la trasparenza del mercato.

All’esito dei due gradi di giudizio, quindi, il Ministero della Salute dovrà gestire la richiesta di accesso civico formulata dall’Associazione di categoria, valutando se sussistano le condizioni per l’ostensione oppure se vi siano altre e meglio circostanziate ragioni oppositive, come previsto dagli artt. 5 e 5-bis del Decreto legislativo n. 33/2013. In ogni caso, il Ministero non potrà reiterare il rifiuto basato sulla carenza di legittimazione della richiedente; né potrà limitarsi a un report generale, come aveva proposto inizialmente.

Indipendentemente dal proseguo della vicenda specifica, la decisione del Consiglio di Stato merita una attenzione specifica sia per le ricadute che possono trarsi sul piano del controllo ufficiale sulla catena alimentare sia in merito alle argomentazioni impiegate che, con tutto il rispetto per il Collegio, lasciano aperti alcuni interrogativi e profonde perplessità.  

Come si vedrà in chiusura, la sentenza sembra confondere il controllo dell’azione della pubblica amministrazione con il controllo di mercato che è demandato a soggetti pubblici, non enti privati e in palese conflitto di interessi. In altri termini, la vigilanza del mercato alimentare non sarebbe più competenza esclusiva della pubblica amministrazione ma potrebbe essere esercitata da soggetti privati, con mezzi ben più penetranti di quelli cui siamo abituati in altri settori merceologici.

Ma andiamo per ordine.

La vicenda

Nell’aprile 2017 l’Associazione in parola presentava alla Direzione Generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari ed alla Direzione Generale per la Prevenzione sanitaria del Ministero della salute due diverse istanze di accesso civico, aventi il medesimo oggetto, con la finalità di ottenere i dati ed i documenti relativi alle importazioni di latte e dei prodotti lattiero caseari provenienti da Paesi comunitari ed extracomunitari, anche attraverso l’accesso diretto e continuativo alla banca dati, eventualmente con oscuramento dei soli dati identificativi degli operatori stranieri.

La Direzione Generale della Sanità animale e dei farmaci veterinari, vista l’ampiezza dell’istanza e la mancata individuazione dei controinteressati, rispondeva richiedendo all’Istante di “circostanziare l’istanza, individuando specificamente i dati e/o i documenti di interesse” e riferendo che l’Amministrazione doveva poter interpellare gli eventuali controinteressati. La Direzione generale concludeva facendo riserva comunque “di fornire tali dati e/o documenti attraverso un report contenente le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in Italia, senza i riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali ed esteri“. La Direzione Generale per la Prevenzione sanitaria eccepiva, invece, la propria incompetenza in materia di latte e dei prodotti lattiero caseari.

Nel giugno 2017, l’Istante proponeva ricorso dinanzi al Responsabile della trasparenza del Ministero della salute, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 33 del 2013, chiedendo di accedere alla documentazione già richiesta con la precedente istanza di accesso civico, con conseguente richiesta di condanna dell’Amministrazione resistente ad esibire la documentazione, ma otteneva un nuovo diniego.

Nel dicembre 2017, l’Associazione reiterava l’istanza limitando la richiesta a “i dati relativi alla importazione, nel secondo trimestre del corrente anno solare, di latte e di prodotti lattiero-caseari provenienti da Paesi non aderenti all’Unione Europea ovvero oggetto di scambio intracomunitario”. Anche questa volta, tuttavia, l’Amministrazione opponeva un formale diniego, dimostrandosi disponibile a fornire solo un report “contenente le informazioni aggregate per Paese estero di spedizione e per provincia di destinazione in Italia, senza i riferimenti delle ditte individuali e dei soggetti giuridici nazionali o esteri” per ragioni di tutela dei dati personali e degli interessi economici e commerciali delle ditte interessate, oltre che per l’aggravio che tale attività avrebbe arrecato all’Istituzione.

Il ricorso al TAR e la “esorbitante” decisione del Consiglio di Stato

Faceva seguito il ricorso dinanzi al TAR del Lazio, ricorso che veniva rigettato sull’assunto che la  tutela dei consumatori, che l’Associazione di produttori aveva addotto alla base dell’istanza presentata, oltre che poter essere perseguita dalla stessa Associazione per mezzo di una indagine presso i suoi iscritti, risultava essere già soddisfatta dall’obbligo di cui al Decreto Ministeriale 9 dicembre 2016 che espressamente impone di indicare l’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari in attuazione del Regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.

Di diverso avviso è stato invece il Consiglio di Stato che, annullando la precedente decisione, ha accolto sostanzialmente l’impostazione del richiedente l’accesso civico. Più precisamente, il Collegio ha riconosciuto come la richiesta di dati e informazioni al dichiarato fine di ricostruire la filiera delle importazioni di ogni singolo produttore nazionale è coerente con il controllo diffuso circa la rispondenza delle etichette dei prodotti in commercio con le reali importazioni dei produttori, controllo che non potrebbe essere assicurato altrimenti.

Neppure gli obblighi di etichettatura prescritti per legge, a giudizio del Collegio, sarebbero idonei a far venire meno l’interesse all’accesso; in ciò un ribaltamento rispetto alla decisione di prime cure: secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’accesso richiesto dall’Associazione perseguirebbe esattamente la verifica della credibilità di quelle dichiarazioni riportate in etichetta. Infatti, il richiesto accesso ai dati, oltre a consentire una verifica circa la complessiva affidabilità del controllo pubblico in ordine al rispetto dell’obbligo degli stessi operatori di riportare in etichetta l’origine degli ingredienti, consentirebbe di conoscere anche la complessiva provenienza delle materie prime utilizzate per produrre in Italia gli ingredienti  e i semilavorati a propria volta utilizzati nei prodotti commercializzati dal medesimo operatore ma che la legge non impone di indicare in etichetta.

Il Collegio, per altro, ha riconosciuto che le informazioni richieste, relative ai dati delle importazioni per singolo operatore, sarebbero ostensibili in ragione della finalità di tutela della trasparenza del mercato e di tutela dei consumatori che il Collegio ha ritenuto sussistere nel caso di specie.

A tal fine, il Collegio ha tenuto a ricordare che la tutela dei consumatori secondo il Codice del consumo prevede che siano “riconosciuti e garantiti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, ne è promossa la tutela in sede nazionale e locale, anche in forma collettiva e associativa, sono favorite le iniziative rivolte a perseguire tali finalità, anche attraverso la disciplina dei rapporti tra le associazioni dei consumatori e degli utenti e le pubbliche amministrazioni”. Peccato, però, che l’associazione richiedente tutto è tranne che una associazione per la tutela dei consumatori.

Per l’effetto di una sentenza che abbraccia con grande trasporto l’impostazione dell’associazione istante, il Ministero della salute dovrà vagliare nuovamente la richiesta, procedendo a una istruttoria molto più stringente e concreta, nella quale i contrapposti interessi degli interessati, legittimati a veder tutelata la riservatezza di alcune informazioni, potranno essere opposti, si spera in modo adeguato.

I motivi di perplessità

Come si è visto, nel caso di specie l’accesso civico, riguardante i procedimenti amministrativi concernenti l’importazione di materie prime e semilavorati da parte dei singoli operatori, è stato riconosciuto dal Consiglio di Stato sulla base di una lettura ampia sia dell’istituto dell’accesso civico ma anche delle disposizioni a tutela del consumatore.

Secondo il Collegio, infatti, l’accesso andrebbe riconosciuto in quanto teso “a consentire una verifica circa la complessiva affidabilità del controllo pubblico in ordine al rispetto dell’obbligo degli stessi operatori di indicare in etichetta l’origine degli ingredienti di alcuni alimenti”. In ciò una prima perplessità: quel che la sentenza sembra legittimare è un controllo non tanto sull’azione della pubblica amministrazione, il che – come detto – è del tutto in linea con la ratio dell’accesso civico, quanto piuttosto un controllo diretto del mercato, in sostituzione o in replica delle attività di controllo ufficiale.

La sentenza, infatti, in nome del più ampio riconoscimento del diritto alla trasparenza delle relazioni di mercato quale mezzo ancillare per la tutela dei diritti dei consumatori (art. 2 Codice consumo), finisce per abilitare un soggetto privato a sindacare, con strumenti propri del Controllo Ufficiale, la veridicità delle informazioni commerciali poste in etichetta. In ciò l’aspetto inusuale della sentenza: l’accesso civico da strumento per il controllo diffuso dell’attività pubblica viene distratto su un oggetto diverso: le relazioni commerciali di soggetti privati.

In questo senso la sentenza non può essere accolta con favore nella misura in cui sembra riconoscere che la vigilanza del mercato non sia più competenza esclusiva della pubblica amministrazione ma in qualche modo condivisa con soggetti privati. Già questo passaggio, per le implicazioni che può avere, meriterebbe una riflessione più ampia e approfondita. Ancor più grave è il fatto che nel caso di specie, la tutela dei consumatori, blandita come argomento forte nella sentenza del Consiglio di Stato, sia stata invocata da una associazione di produttori che, nei fatti, domandava accesso ai dati commerciali di operatori ad essa non consociati. Un corto circuito che deve preoccupare.

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