SOMMINISTRAZIONE TEMPORANEA DI ALIMENTI: COMPETENZA STATALE

Rientra nella competenza dello Stato, e non in quella regionale, la competenza a dettare norme di semplificazione amministrativa in materia di attività temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari. Lo stabilisce la Corte costituzionale con la sentenza n. 62/2013.

Più precisamente la Corte ha stabilito che  la competenza a disciplinare il procedimento amministrativo relativo ad attività temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari, non è in capo alla regione (in quanto, competenza residuale in materia di commercio), bensì in capo allo Stato dovendosi qualificare l’intervento legislativo nell’alveo delle norme di semplificazione amministrativa riconducibili alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

La Regione Veneto aveva impugnato l’art. 41 del d.l. n. 5 del 2012, nella parte in cui prevede che «L’attività temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari, è avviata previa segnalazione certificata di inizio attività priva di dichiarazioni asseverate ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e non è soggetta al possesso dei requisiti previsti dall’art. 71, comma 6, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59».

In particolare la doglianza regionale si appuntava sulla parte che escludeva il possesso di tutti i requisiti soggettivi previsti dall’art. 71 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno), e non solo di quelli professionali previsti dal comma 6 cui fa esclusivo riferimento la norma nella versione contenuta nella legge di conversione.

In primo luogo, la Corte costituzionale osserva che il ricorso è ammissibile, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la Regione che ritenga lese le proprie competenze da norme contenute in un decreto-legge può sollevare la relativa questione di legittimità costituzionale anche in relazione a questo atto, con effetto estensivo alla legge di conversione, ovvero può riservare l’impugnazione a dopo l’entrata in vigore di quest’ultima (tra le molte, sentenze n. 383 del 2005; n. 287 del 2004 e n. 272 del 2004)».

Ciò posto, la Corte ha confermato l’indirizzo giurisprudenziale per il quale le norme di semplificazione amministrativa sono di competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in quanto «anche l’attività amministrativa, […] può assurgere alla qualifica di “prestazione” (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere), della quale lo Stato è competente a fissare un “livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati» (sentenze n. 207 e n. 203 del 2012).

La determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, come già precisato più volte da questa Corte, non è una «materia» in senso stretto, quanto una competenza del legislatore statale «idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenze n. 322 del 2009 e n. 282 del 2002).

Alla stregua di tali principi, deve riconoscersi che anche con la disciplina di semplificazione in esame il legislatore statale ha voluto dettare regole del procedimento amministrativo, valide in ogni contesto geografico della Repubblica, le quali, adeguandosi a canoni di proporzionalità e adeguatezza, si sovrappongono al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Parte II della Costituzione (sentenza n. 207 del 2012).

La disciplina in esame, infatti, è diretta ad impedire che le funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati ed è volta a semplificare le procedure in un’ottica di bilanciamento tra l’interesse generale e l’interesse particolare all’esplicazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande.

La normativa censurata prevede che gli interessati, in condizioni di parità su tutto il territorio nazionale, possano svolgere temporaneamente l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre, fiere, manifestazioni religiose, tradizionali e culturali o eventi locali straordinari, mediante una mera segnalazione di inizio attività priva di dichiarazioni asseverate ai sensi dell’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e anche in assenza del possesso dei requisiti previsti dall’art. 71, comma 6, del d.lgs. n. 59 del 2010.

Si tratta di un atto che si colloca all’inizio della fase procedimentale, la quale è strutturata secondo un modello ad efficacia legittimante immediata, che attiene al principio di semplificazione dell’azione amministrativa ed è finalizzata ad agevolare l’iniziativa economica (art. 41, primo comma, Cost.), tutelando il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima (sentenza n. 203 del 2012).

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