PRODOTTI A BASE DI CACAO E CIOCCOLATO: ADDIO AL CLAIM “PURO”

Modificata la disciplina nazionale sui prodotti di cacao e di cioccolato per adempiere alla sentenza della Corte di giustizia del novembre 2010 sul “cioccolato puro” (sentenza del 25 novembre 2010 nella causa C-47/09). L’articolo 17 della legge n. 217/2011 (Legge comunitaria 2010″, in GURI n. 1 del 2-1-2012) ha abrogato l’articolo 6 e l’articolo 7, comma 8, del decreto legislativo 12  giugno  2003,  n.  178, recante attuazione della direttiva 2000/36/CE relativa ai prodotti di cacao e di cioccolato destinati all’alimentazione umana.  

L’articolo 6 del decreto legislativo n. 178/2003 prevedeva:

“I prodotti di cioccolato di cui all’allegato I, punti 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10, che non contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, fatta eccezione per il ripieno diverso dai prodotti di cacao e cioccolato, possono riportare nell’etichettatura il termine “puro” abbinato al termine “cioccolato” in aggiunta o integrazione alle denominazioni di vendita di cui all’allegato I oppure la dizione “cioccolato puro” in altra parte dell’etichetta”.

L’abrogazione di questo articolo, disposta dal 17 gennaio 2012, consegue al disposto della Corte di giustizia: la violazione del diritto comunitario era stata accertata dalla Corte relativamente alla disciplina comunitaria, inderogabile, delle denominazioni di vendita. Leggendo con attenzione l’art. 6 del D.lgs. n. 178/2003 ci si accorge, in effetti, che esso attiene precipuamente all’uso del termine “puro” in combinazione con la denominazione di vendita.

L’abrogazione dell’articolo 7, comma 8, del decreto nazionale conferma la lettura già proposta in alcuni commenti dello scrivente: il comma 8, infatti, prevedeva che: 

chiunque utilizza il termine “puro” abbinato al termine “cioccolato” nell’etichettatura dei prodotti di cui all’All. I, punti 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10, che contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, fatta eccezione per il ripieno diverso dai prodotti di cacao e di cioccolato, è punito con la sanzione pecuniaria amministrativa del pagamento di una somma non inferiore ad Euro 3.000,00 né superiore ad Euro 8.000,00”.

“Nella misura in cui la sanzione è irrogabile  a fronte dell’uso del termine “puro” in abbinamento con la denominazione cioccolato, anche questa disposizione ricadrebbe nel raggio del divieto ribadito dalla Corte e pertanto sarebbe da disapplicare” (Cfr. Daniele Pisanello, Armonizzazione delle denominazioni di vendita nel settore del cioccolato. Illegittimità della disciplina nazionale sul cioccolato puro, in Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali 2/2011).

Per il resto, il recente intervento legislativo si limita a precisare termini per lo smaltimento delle etichette:

“Lo smaltimento delle scorte delle etichette e  delle  confezioni dei prodotti di cioccolato che riportano il termine  «puro»  abbinato al termine «cioccolato» in aggiunta o integrazione alle denominazioni di vendita di cui all’allegato I annesso al  decreto  legislativo  12 giugno 2003, n. 178, oppure la dizione «cioccolato puro» in  un’altra parte dell’etichetta deve avvenire entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge“.

Nessuna disposizione è stata prevista per il caso in cui il termine “puro” venga utilizzato in una altra parte della etichetta e non in congiunzione con la denominazione di vendita. A tal riguardo è il caso di non dimenticare che la stessa Corte abbia precisato che “l’inserimento, invece, in un’altra parte dell’etichetta di un’indicazione neutra ed obiettiva che informi i consumatori dell’assenza, nel prodotto, di sostanze grasse vegetali diverse dal burro di cacao sarebbe sufficiente a garantire un’informazione corretta dei consumatori”. A ben guardare, il quadro giuridico per saggiare la legittimità di una etichetta è anche, in aggiunta alla legislazione alimentare di settore (Dir. 2000/13; Dir. 2000/36; et cetera), il Codice del Consumo (D. Lgs. 206/2005) che riconosce all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ampi poteri di repressione delle pratiche commerciali sleali, tra cui ricadono anche le fattispecie di pubblicità ingannevole.

avv. Daniele Pisanello

 

Per un commento alla sentenza della Corte di giustizia: clicca qui

 

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