APPROFONDIMENTI:LA RESPONSABILITÀ DEL PRODUTTORE

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LA RESPONSABILITÁ DEL PRODUTTORE PER DIFETTO DI INFORMAZIONE E LA NORMATIVA IN TEMA DI ETICHETTE E SCHEDE INFORMATIVE NEI PRODOTTI ALIMENTARI, COSMETICI E CONTENENTI SOSTANZE PERICOLOSE

Resp. civ. e prev. 1998, 6, 1576

 

Alberto Cantù

Avvocato in Milano

Sommario: 1. Introduzione. − 2. Le etichette dei prodotti alimentari. − 3. Le etichette dei prodotti cosmetici. − 4. Le etichette dei prodotti contenenti sostanze pericolose. − 5. Brevi conclusioni: raccordo tra le norme sopra commentate e l’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988.

1. Introduzione.

L’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 fa riferimento alla sicurezza che si può legittimamente attendere da un prodotto. Una clausola generale che va letta in correlazione alle seguenti specificazioni: il modo in cui un prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l’uso cui il prodotto è destinato, i comportamenti che in relazione ad esso si possono aspettare e il tempo in cui esso è stato messo in circolazione.

Le avvertenze e le istruzioni, dunque, sono elementi fondamentali per rendere sicuro il prodotto, anche se non possono supplire alla carenza di dispositivi di sicurezza (1).

Ma avvertenze ed istruzioni non debbono essere confuse: le avvertenze mettono in guardia dal pericolo in modo completo (2), evidente ictu oculi (3) ed intenso (4). Le istruzioni, sempre con il rispetto degli stessi requisiti, indicano il corretto uso del prodotto per neutralizzare o ridurre i suoi rischi. Le istruzioni sono complementari rispetto alle avvertenze.

L’utilizzo delle etichette sui prodotti si collega a quello della sicurezza dei prodotti perché è principalmente grazie al loro sapiente impiego che, su certi particolari tipi di prodotti, viene adempiuto all’obbligo di avvertire il consumatore dei rischi cui egli potrebbe andare incontro in caso di utilizzo del prodotto in modo incauto o in circostanze pericolose.

Le categorie di prodotti nelle quali le etichette appaiono svolgere − meglio che in altri campi − questo loro ruolo di warning sono quelle dei prodotti alimentari, cosmetici e, soprattutto, dei prodotti contenenti sostanze pericolose.

Ciò premesso è opportuno esaminare nel dettaglio − nei paragrafi in appresso − le caratteristiche tecnico-legali che le etichette debbono avere se apposte sui prodotti (o sugli imballaggi contenenti i prodotti) alimentari, cosmetici e contenenti sostanze pericolose.

2. Le etichette dei prodotti alimentari.

Il quadro normativo in materia è rappresentanto dalla direttiva n. 72/112/CE del Consiglio del 18 dicembre 1978, attuata con d.P.R. 18 maggio 1982, n. 322 (5) abrogato dall’art. 29 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 109 (6).

Bisogna, poi, prendere in considerazione la direttiva n. 92/54/CE della Commissione del 18 novembre 1994 che modifica la prima direttiva citata ed è, a sua volta, modificata dalla direttiva n. 96/21/CE della Commissione del 29 marzo 1996: queste direttiva sono state attuate recentemente dal d.p.c.m. (decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) del 28 luglio 1997, n. 311(7).

Da questa articolata intelaiatura normativa si possono desumere le indicazioni che appaiono essere fondamentali con riferimento alle etichette dei prodotti alimentari: la denominazione di vendita; il nome o la ragione sociale o il marchio depositatoe la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea (8); la sede dello stabilimento di produzione o confezionamento. Soprattutto − ai nostri fini − sia ricordata la necessità di indicare sulle etichette dei prodotti alimentari un elenco degli ingredienti.

La definizione generale di ingredienti si trova all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 109/1992: “qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzati nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata” (9).

In definitiva: le etichette hanno il compito, importante, di mettere in guardia il consumatore (che − magari a causa delle sue condizioni di salute − non può ingerire determinate sostanze) della sussistenza − in un prodotto alimentare − di determinati elementi: è ovvio, tuttavia, che queste precauzioni preventive a nulla valgono se il prodotto alimentare di per sé non è stato confezionato nel rispetto di criteri di salubrità.

A quest’ultimo proposito sono state elaborate − soprattutto all’estero − specifiche normative statuali (10). Esistono, poi, − in subiecta materia − anche normative comunitarie (11).

Si deve, pertanto, concludere che un prodotto alimentare potrebbe essere difettoso ai sensi dell’art. 5, d.P.R. n. 224 del 1988 quando sull’etichetta non sono resi espliciti i dati che ne consentono l’ingestione senza conseguenze per la salute del consumatore ed in particolar modo: gli ingredienti, l’avvertenza a consumatori affetti da particolari malattie a non utilizzare il prodotto qualora quest’ultimo contenga sostanze che possano scatenare forme di allergia (almeno tenendo presente le più tipiche forme) oppure quando sia omessa, per esempio, la data di scadenza di un prodotto deperibile.

Pare, invece, che la mancata indicazione dell’identità del produttore o del luogo di origine del prodotto non sempre equivalga a far mancare dati che possano aiutare a scoprire e ad evitare un pericolo.

3. Le etichette dei prodotti cosmetici.

Il quadro normativo qui è dato dalla legge 11 ottobre 1986, n. 713 (“legge cosmetici”) che attua le Direttive CE in materia di produzione e vendita dei cosmetici: quest’ultima è stata modificata con d.lgs. 10 settembre 1991, n. 300. Questa legge è stata aggiornata dal d.lgs. 24 aprile 1997, n. 126 che specifica i principi dell’art. 29 della legge comunitaria per il 1994 (cioè la legge 6 febbraio 1996, n. 52) di delega al governo per attuare la direttiva n. 93/35/CE del Consiglio del 14 giugno 1993 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di prodotti cosmetici (12).

Alla luce del quadro normativo sopra rappresentato si deve, da subito, fare una distinzione preliminare tra contenitore (e relative etichette) del prodotto (condizionamento primario ex art. 8, comma 1, della legge cosmetici come recentemente modificata) ed imballaggio secondario sul quale sono applicate le etichette.

(i) Di solito sul contenitore e sull’imballaggio secondario sono indicate dominazioni di fantasia.

Oltre a queste ultime, però, debbono essere per legge specificati i seguenti elementi, anche in modo abbreviato ma comunque in italiano (tranne che per il nome e la sede del produttore, il numero del lotto di fabbricazione, il Paese d’origine del prodotto se extra – UE):

a) il nome e la ragione sociale del produttore (o del responsabile dell’immissione sul mercato comunitario), con la sua sede legale e, per i produttori extracomunitari, il Paese d’origine (13);

b) il periodo minimo di durata in cui il prodotto cosmetico continui ad assicurare la sua funzione iniziale e rimanga conforme alle sue naturali caratteristiche (cfr. l’art. 7, comma 1, della legge cosmetici). È necessaria l’indicazione, nell’ordine, del mese e dell’anno e anche le condizioni la cui osservanza consente di ottenere la durata in parola;

c) avvertenze e modalità di impiego che obbligatoriamente debbono essere contenute nelle etichette apposte sul contenitore e sull’imballaggio “secondario”: si fa rinvio, per il loro esame analitico, agli allegati III e V della legge n. 713/1986.

(ii) Inoltre: deve essere indicata sui contenitori e sugli imballaggi la funzione del prodotto se essa non risulta altrove.

(iii) Ma soprattutto è importante che sia scritto sulla confezione del prodotto l’elenco degli ingredienti in ordine decrescente di peso al momento dell’incorporazione preceduto dal termine “ingredienti” o “ingredients” e secondo quanto previsto dall’inventario europeo degli ingredienti cosmetici (14).

(iv) I coloranti possono essere indicati dopo gli ingredienti in ordine sparso (riferimento al numero Color Index o alla denominazione dell’allegato IV della legge cosmetici) (15).

Le etichette apposte sul prodotto cosmetico, pertanto, debbono essere mirate soprattutto ad una completa trasparenza sugli ingredienti utilizzati e ad avvertire il consumatore delle funzioni del prodotto (includendo tutti gli impieghi ragionevolmente e legittimamente utilizzabili) e della sulla sua durata.

Si può concludere, pertanto, che sussista la difettosità del prodotto ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 solo se non se l’etichetta non è predisposta in modo da rappresentare al consumatore il pericolo oppure non sono stati indicati nell’etichetta gli ingredienti che compongono la sostanza cosmetica o, quantomeno, l’etichetta non rinvii con chiarezza ad un foglietto riepilogativo di tali ingredienti. In questo caso, in effetti, il produttore potrebbe essere ritenuto venir meno a quel duty to warn che dà luogo ad un difetto da insufficiente informazione.

Quando, tuttavia, il pericolo che deriva dal prodotto sia stato efficacemente rappresentato nell’etichetta ed, eventualmente, siano stati elencati anche gli ingredienti che compongono il prodotto non appare ragionevole obbligare il produttore ad includere ulteriori informazioni, anche tenuto conto della necessaria sinteticità dell’etichetta.

In altre parole: il quadro normativo rappresentato all’inizio di questo paragrafo interagisce con l’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 ma nei limiti in cui il prodotto non sia sicuro tenuto conto delle istruzioni e delle avvertenze fornite insieme ad esso e che possono essere rese esplicite attraverso le etichette qualora questo sia il mezzo più semplice ed immediato per l’adempimento dei doveri di informazione del fabbricante.

4. Le etichette dei prodotti contenenti sostanze pericolose.

Il d.lgs. 3 febbraio 1997, n. 52 (16) ed il d.lgs., 16 luglio 1988, n. 285 (17) (e l’art. 38 della l. 24 aprile 1998, n. 128: legge comunitaria 1995-1997 cfr. anche l’art. 38 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, legge comunitaria per il 1994) attuano la Direttiva n. 92/32/CE del Consiglio del 30 aprile 1992 che integra la settima modifica al combinato delle Direttive n. 67/54/CEE del Consiglio del 27 giugno 1967; 88/379/CEE del Consiglio del 7 giugno 1988 (ravvicinamento delle disposizioni legislative regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all’imballaggio e all’etichettatura delle sostanze pericolose): una ulteriore modifica alla legislazione comunitaria in materia è data dalla direttiva n. 96/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 settembre 1996) (18).

Queste disposizioni comunitarie debbono essere lette in correlazione con la direttiva n. 93/67/CE della Commissione del 20 luglio 1993 che stabilisce i principi per la valutazione dei rischi per l’uomo e per l’ambiente delle sostanze notificate all’Autorità competente ai sensi della direttiva n. 67/548/CEE (19).

Il d.lgs. n. 52/1997 − qui oggetto di commento − è un provvedimento molto vasto ed articolato: una riforma nel campo dell’impiego, nella produzione, delle sostanze pericolose implicante l’adempimento di operazioni di notifica alla pubblica autorità di quelle sostanze che siano valutate come rischiose per l’uomo e per l’ambiente.

Le valutazioni sottointendono anche particolari disposizioni per la classificazione, l’imballaggio e l’etichettatura delle predette sostanze: anche queste norme sono ivi presenti (art. 1, comma 1, del decreto).

Nel decreto sono contenute disposizioni generali concernenti il suo stesso campo di applicazione (20) e le sanzioni nelle quali incorrono i trasgressori dei suoi precetti (21).

Ed ancora vi si trovano definizioni tecniche, per esempio, delle sostanze pericolose (22) (ed inoltre: di preparato (23) o del concetto di ricerca e sviluppo del processo produttivo (24)); giuridiche (del concetto di notifica) (25); economiche (di immissione sul mercato delle sostanze pericolose) (26); amministrative (concernenti l’istituto dell’EINECS) (27).

Dopo questa importante fase definitoria il d.lgs. n. 52 del 1997 enuclea i principi per la valutazione dei rischi per l’uomo e per l’ambiente che presentano le sostanze comunicate all’unità di notifica (28) a spese delle imprese richiedenti, secondo modalità e tariffe che il Ministero della sanità ed il Minsitero del tesoro determineranno congiuntamente (cfr. art. 38, lett. c) della legge comunitaria per il 1994).

Grande rilevanza ha, pertanto, il ruolo del Ministero della sanità e dell’Istituto superiore di sanità: il loro compito si concreta − inoltre − nella tenuta degli elenchi delle sostanze pericolose, nella loro valutazione e nella registrazione delle nuove sostanze chimiche notificate.

Ma tutto questo lavoro di notificazione e classificazione delle sostanze pericolose sarebbe vanificato se le etichette dei prodotti che le contengono non recassero in caratteri leggibili ed indelebili (cfr. art. 20, comma 1, d.lgs. n. 52/1997) la denominazione della sostanza in modo conforme ad una delle denominazioni di cui al decreto del Ministero della sanità del 28 aprile 1997 (29). Se la sostanza non vi è ricompresa, la denominazione si deve basare su una denominazione internazionale riconosciuta.

Inoltre nell’etichetta debbono comparire il nome e l’indirizzo completo e il numero di telefono del responsabile dell’immissione sul mercato stabilito all’interno dell’Unione europea, che può essere il fabbricante, l’importatore o il distributore (art. 20, comma 1, lett. b).

Ed ancora: i simboli di pericolo (30), se previsti, e l’indicazione di pericolo (così è scritto nella Gazzetta Ufficiale ma a mio parere si deve interpretare “del pericolo” inteso in senso specifico) che l’impiego della sostanza comporta (art. 20, comma 1, lett. c) (31).

L’etichetta deve comprendere anche il numero CE, se assegnato, seguito dall’EINECS o dall’elenco delle sostanze notificate e l’indicazione “Etichetta CE” per le sostanze pericolose elencate dal Ministero della sanità (lett. f).

Per non dare una falsa apparenza di sicurezza gli imballaggi o le etichette di preparati o sostanze pericolose non debbono contenere assolutamente la dizione “non tossico” o “non nocivo” o qualsiasi altra analoga (art. 20, comma 2).

Se questi sono i contenuti dell’etichetta non meno importante è come l’etichetta viene apposta, secondo quali criteri di visibilità, di immediatezza (cfr. art. 21 del d.lgs. n. 52/1997) (32) (33).

Le dimensioni e le caratteristiche delle etichette sono previste dalla legge.

Inoltre le etichette, in Italia, debbono essere redatte in italiano o − se in più lingue − la dizione in lingua italiana non deve essere espressa in caratteri inferiori agli altri idiomi (art. 21, comma 5) (34).

Di grande importanza è, inoltre, il portato dell’art. 25, comma 1 e 2 del d.lgs. 3 febbraio 1997, n. 52 che prevede l’istituzione di una scheda informativa sulla sicurezza per consentire agli utilizzatori professionali di prodotti contenenti sostanze pericolose di prendere le misure necessarie per la protezione dell’ambiente, nonché della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro (materia, questa, disciplinata ex professo dalla legge n. 626/1994 e dal d.lgs. n. 242/1996) (35) (36).

Nelle schede informative l’indicazione dei pericoli insiti nelle sostanze fornite (cfr. art. 3 dell’allegato I al d.m. 4 aprile 1997 che disciplina specificamente la materia) è la voce più importante poiché gli effetti dannosi per la salute dell’uomo e i sintomi che insorgono in seguito all’uso e al cattivo uso ragionevolmente prevedibile sono descritti tenendo conto di un criterio, quello − appunto − di ragionevolezza e prevedibilità, che è comune all’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988 (la nozione di prodotto difettoso che si basa, tra l’altro, sul mancato rispetto − da parte del produttore − dell’obbligo di prevedere tutti gli usi e i comportamenti ragionevoli in relazione ad un prodotto e di immetterlo sul mercato sicuro anche in simili frangenti).

Ciò significa che l’omissione, nella scheda informativa, delle prefate indicazioni obbligatorie rende il prodotto insicuro per insufficienza di informazione.

Appare, pertanto, evidente che etichetta e scheda informativa sono due concetti differenti: nondimeno, si deve ritenere che senza entrambe le precauzioni contro i rischi insiti nelle sostanze pericolose, se esse non sono poste in essere diligentemente, si possa considerare il prodotto difettoso per mancanza di informazione.

Ma l’informazione che ci si aspetta da un’etichetta non può non essere più coincisa e sommaria di quella che deve essere oggetto di una scheda informativa.

Quest’ultima deve comprendere obbligatoriamente, invece, (allegato II d.m. 4 aprile 1997) una grande quantità di informazioni.

E veniamo ora all’esame del d.lgs. 16 luglio 1998, n. 285: ci si deve limitare, peraltro, alla sola trattazione delle novità che sono ivi presenti, rispetto alle previsioni del d.lgs. n. 52/1997.

Il d.lgs. 285/1998 introduce un principio generale di valutazione della pericolosità dei prodotti: l’applicazione di questo criterio varia a seconda del genere di sostanza pericolosa contenuta in tali beni e classificata ai sensi dell’art. 3 che rinvia al Decreto del Ministero della Sanità del 28 aprile 1997 (37).

Secondo il principio generale non bisogna che le sostanze pericolose superino, nei prodotti, certi limiti di concentrazione espressi in percentuale peso/peso (cioè peso del prodotto in rapporto al peso della sostanza pericolosa che tale prodotto contiene) (cfr. allegato I al d.lgs. 285/1998).

L’art. 5 del d.lgs. introduce nuovi principi per l’imballaggio dei prodotti contenenti sostanze pericolose: i recipienti dei prodotti offerti al dettaglio non debbono avere una forma o una decorazione grafica che attiri o risvegli la curiosità attiva dei bambini o che sia tale da indurre in confusione il consumatore (art. 5 comma n. 2, lett. a) oppure una presentazione o una denominazione usata per prodotti alimentari, alimenti per animali, medicine e cosmetici (lett.b). Tutti i recipienti di prodotti pericolosi debbono essere muniti di chiusura di sicurezza (art. 5 comma n. 3 lett. a), portare un’indicazione del pericolo avvertibile al tatto quando etichettati come nocivi, estremamente o facilmente infiammabili.

L’art. 6 elenca i requisiti minimi di un’etichetta (salvo le indicazioni specifiche del D.M. Sanità del 28 aprile 1997) (38).

L’art. 7 concerne l’attuazione pratica delle norme di etichettatura: principio è che l’etichetta debba essere “saldamente apposta su uno o più lati dell’imballaggio, in modo da consentire la lettura orizzontale” quando l’imballaggio si trovi in una posizione normale (39) (40).

Ovviamente se gli imballaggi sono di dimensioni ridotte, lo saranno anche le etichette (art. 8 comma 1). Inoltre, quando non sia possibile applicare un’etichetta conforme al Decreto (probabilmente a causa della natura del prodotto che non sia suscettibile di un regolare imballaggio)(41), il Ministero della Sanità (di concerto con il Ministero dell’Industria) dovrà emanare un Decreto specifico “stabilendo le caratteristiche cui deve corrispondere l’etichetta” (art. 8 comma 2) − si ritiene − in relazione alla categoria del prodotto che presenta questi problemi.

Infine “gli imballaggi dei preparati pericolosi che non sono esplosivi, né molto tossici, né tossici, possono non essere etichettati in modo diverso, quando contengano quantitativi talmente limitati da non comportare alcun pericolo sia per le persone che manipolano tali preparati che per terzi” (art. 8 comma 3).

Nulla di nuovo rispetto alla disciplina già esaminata (v. supra) viene detto nell’art. 9 con riferimento alla scheda informativa in materia di sicurezza.

Una novità importante, invece, appare − ai sensi dell’art. 10 − l’istituzione di una banca dati sui preparati pericolosi a cura dell’Istituto Superiore di Sanità che si alimenta delle informazioni relative ai preparati pericolosi trasmesse all’Istituto dal responsabile della loro immissione sul mercato (42).

Le modalità di raccolta delle informazioni e le procedure per il mantenimento della riservatezza di queste ultime deve ancora essere specificata in un apposito decreto del Ministero della Sanità, da emanarsi di concerto con il Ministero dell’Industria (art. 10 comma 2).

E, per concludere, non si trascurino le sanzioni (sia amministrative: ammenda da lire duecentomila a lire dieci milioni; che penali per i casi più gravi: arresto fino a sei mesi. Cfr. l’art. 13 comma 1 e 2) per chi immette sul mercato i preparati pericolosi in violazione alle disposizioni sull’imballaggio e sulle etichette di cui al d.lgs. n. 285/1998, artt. 5, 6, 7, 8 nonché in violazione delle disposizioni sulla classificazione delle sostanze di cui all’art. 3.

Non saranno, però, puniti i commercianti al dettaglio che vengono o distribuiscono per il consumo preparati pericolosi in confezioni originali, sempreché non siano a conoscenza della violazione e la confezione originale non presenti segni di alterazione (art. 13 comma 3).

Le violazioni delle disposizioni in materia di scheda informativa e banca dati sui prodotti pericolosi saranno punite, invece, con una “sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinque milioni a lire trenta milioni” (art. 13 comma 4).

5. Brevi conclusioni: raccordo tra le norme sopra commentate e l’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988.

Dall’esame e dal commento delle norme specifiche in materia di etichettatura delle sostanze alimentari, cosmetiche e “pericolose” appare agevole ricavare il seguente principio: dall’etichetta ci si aspetta solo che essa rappresenti efficacemente la pericolosità del prodotto ed i rischi cui esso dà luogo, ritengo senza scendere in particolari, soprattutto quando ad essa è complementare, appunto, la scheda informativa.

Ma quando l’etichetta non è efficace nel rappresentare il pericolo e − laddove ciò sia tecnicamente possibile − nell’indicare le soluzioni per evitarlo, allora è forte l’impressione di essere in presenza di un difetto da mancata informazione (istruzione ed avvertenze) che rende il prodotto insicuro ai sensi dell’art. 5 del d.P.R. n. 224/1988.

 

(1) Per fare un esempio, nel caso di una falciatrice difettosa non fu ritenuta sufficiente a rendere sicuro il prodotto l’avvertenza − espressa tramite una targhetta − del pericolo costituito dalle lame per escludere la responsabilità del produttore quando l’utilizzatore si sia ferito scivolando davanti alla macchina accesa e infilando una mano nell’apertura anteriore della macchina stessa non protetta da una griglia (con le lame, appunto, “en plein air”), cfr. Supreme Court of California, 17 ottobre 1972,Luque v. Mc Lean and others, in Product Liability International, 1979, I, 8, 215 ss. Questo esempio è stato fatto per dare un’idea della preferibilità, quando ciò sia possibile, di una soluzione tecnica per neutralizzare i pericoli costituiti dal prodotto per la salute del consumatore.

 

(2) Analiticità nell’evidenziare i rischi che il consumatore potrebbe incontrare nell’utilizzazione della cosa. Non è sufficiente scrivere “conservare al fresco” ma si deve dire cosa succede se il prodotto è messo in contatto con fonti di calore. Cfr.Carnevali, La responsabilità del produttore, Milano, 1979, 300.

 

(3) Senza che ci siano false sensazioni di sicurezza come avviene invece con una scritta in grande che dichiari sicuro il prodotto solo se, e questo è scritto in piccolo, utilizzato in locali aerati senza respirarne le esalazioni, cfr. Carnevali, op. cit., 301.

 

(4) Non è sufficiente indicare che il prodotto non può stare vicino a fonti di calore ma si deve dire che il prodotto potrebbe anche esplodere.

 

(5) In G.U., 9 giugno 1982, n. 156.

 

(6) Attuazione delle direttive n. 89/395/CE e n. 89/396/CE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

 

(7) In G.U., 18 settembre 1997, n. 218.

 

(8) Una recente sentenza della Corte giustizia Ce, 17 settembre 1997 (in causa C-83/96), commentata su questa Rivista, 1997, 1035, da Capelli, Virgole e sanzioni, ha ritenuto ammissibile l’indicazione anche soltanto del fabbricante e del condizionatore extracomunitario tralasciando l’indicazione del venditore stabilito nella CEE. In particolar modo è stato ritenuto quanto segue: l’art. 3, paragrafo 1, punto n. 6 della direttiva n. 79/112/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1978 deve essere interpretato nel senso che le indicazioni obbligatorie nell’etichetta dei prodotti alimentari debbono contenere il nome o la ragione sociale e l’indirizzo del fabbricante e del condizionatore o di un venditore stabilito nella comunità.

Pertanto la locuzione “stabilito all’interno della Comunità” si riferisce soltanto al venditore e i suoi dati non sono necessari quando l’etichetta già riporta il nome e l’indirizzo del fabbricante o del condizionatore anche se extracomunitari.

Il fatto, comunque, di indicare il fabbricante o il confezionatore, piuttosto che il venditore stabilito nella Comunità europea è importante anche per la pratica applicazione del d.P.R. n. 224/1988 sulla responsabilità del produttore. È necessario, in caso di difetti, poter identificare immediatamente il responsabile degli (eventuali) danni cagionati al consumatore.

Si badi, inoltre, che chi si presenta al pubblico come importatore stabilito nella Comunità europea è equiparato al produttore al fine della responsabilità da prodotto difettoso (cfr. art. 3, 4° comma, seconda parte del d.P.R. n. 224/1988) e potrebbe essere citato per rispondere dei danni occorsi al consumatore.

Grazie alla sentenza della Corte di giustizia della Comunità europea del 17 settembre 1997 l’importatore-venditore di prodotti extracomunitari sito nella CE pare avere la possibilità di non comparire direttamente sull’etichetta e, in qualche modo, di esentarsi, quantomeno a breve periodo, da una chiamata in responsabilità nel caso in cui i prodotti (eventualmente) difettosi, arrechino danni ai consumatori.

 

(9) Esempi di ingredienti sono gli acidificanti, addensanti, coloranti, conservanti, correttori di acidità, edulcoranti, esaltatori di sapidità, gelificanti, umidifcanti.

La loro presenza deve essere segnalata col nome della categoria di appartenenza più il nome specifico o il numero CE.

Solo per gli amidi modificati non è necessario indicare il nome specifico o il numero CE. Inoltre solo per i formaggi fusi si debbono indicare i sali di fusione.

La presenza di elementi di questo tipo deve essere segnalata sulle etichette in modo sintetico. Se un prodotto, per esempio, contiene uno o più edulcoranti consentiti deve essere specificato “con edulcorante” dopo la denominazione di vendita di cui all’art. 4 d.lgs. n. 109/1992. E deve essere specificato se la durata del prodotto è stata prolungata con la creazione, nell’imballaggio, di un’atmosfera protettiva ottenuta con gas di imballaggio consentiti (scrivere: “confezionato in atmosfera protettiva”).

Inoltre se un prodotto alimentare contiene degli zuccheri o edulcoranti consentiti (anche uno solo di essi) deve essere specificato “con zucchero/i ed edulcorante/i”. Anche qui la indicazione segue la denominazione di vendita.

Se un prodotto alimentare contiene aspartame si specifichi: “contiene una fonte di fenilalanina” e se un prodotto incorpora polioli per un tenore superiore al dieci per cento si deve evidenziare che un consumo eccessivo potrebbe avere effetti lassativi.

Inoltre, secondo il preambolo del d.p.c.m. n. 311/1997, i gas d’imballaggio non paiono essere ingredienti e, pertanto, non dovrebbero essere segnalati nell’elenco di quelli.

 

(10) Cfr., per esempio, lo U.K. Food Safety Act del 1990 (in Product liability international, November 1990, 168 ss.).

 

(11) La Comunità europea ha, infatti, elaborato una procedura di analisi di rischio igienico e punti critici di controllo dei prodotti alimentari nel quadro di una direttiva generale (cfr. Direttiva n. 93/43/CE del 14 giugno 1993, in G.U.C.E. n. L 175 del 19 luglio 1993) concernente l’igiene dei prodotti alimentari.

Tale procedura si compone dei seguenti punti:

“− analisi dei potenziali rischi igienici nelle attività di un’impresa alimentare;

− individuazione, durante tali attività, dei punti in cui possono verificarsi rischi alimentari;

− decisioni da adottarsi riguardi ai punti critici individuati che possono nuocere alla sicurezza degli alimenti;

− individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza di tali punti critici;

− riesame peirodico delle analisi alimentari, dei punti critici e delle procedure in materia di controllo e sorveglianza” (cfr. Silano a p. 3 del suo intervento intitolato Igiene, controllo e autocontrollo dei prodotti alimentari al seminario “Controllo ufficiale ed autocontrollo nella produzione, commercio e somministrazione dei prodotti alimentari nel quadro delle normative europee” organizzato dal CISDCE, Centro Internazionale di Studi e Documentazione sulle Comunità europee, il 10 aprile 1995).

Inoltre, e senza pretesa di completezza, le principali direttive specifiche concernenti numerose tipologie di prodotti alimentari sono le seguenti:

latte e derivati: direttiva n. 92/46/CE attuata con dd.mm. 9 maggio 1991 n. 184 e n. 185;

carni macinate: d.P.R. 1 marzo 1992, n. 227;

prodotti a base di carne: d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 537;

molluschi bivalvi e prodotti della pesca: d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 530;

carni di selvaggina: direttiva n. 92/45/CE;

carni di pollame: direttiva n. 92/11/CE e d.P.R. 8 giugno 1982, n. 503.

Per un elenco più completo cfr. Silano, cit., sub tabella 1.

 

(12) La disciplina generale che emerge dall’art. 29 della legge comunitaria 1994 e dalle altre disposizioni del d.lgs. n. 126/1997 è la seguente:

(i) Innanzitutto il Ministero della sanità deve raccogliere dati da trasmettere ogni anno alla Commissione delle Comunità europee sulle sperimentazioni di cosmetici effettuate su animali, esperimenti che debbono essere conformi alle previsioni del n. 3 dell’art. 1 della direttiva n. 93/35/CE.

(ii) Sarà istituita la figura professionale del valutatore della sicurezza dei cosmetici assoggettata al regime di mutuo riconoscimento. La valutazione può essere fatta anche dal direttore tecnico di stabilimento se in possesso del diploma di valutatore.

(iii) E le valutazioni paiono essere funzionalizzate all’individuazione delle caratteristiche fisio-chimiche e microbiologiche delle materie prime, nonché al potere tossicologico, irritante ed allergizzante del prodotto finito: tutti questi dati saranno poi evidenziati sulle etichette.

(iv) Il Ministero e l’autorità pubblica di vigilanza possono chiedere al produttore informazioni (cfr. la direttiva n. 93/35/CE) sulle caratteristiche dei prodotti cosmetici che egli pone in commercio.

(v) Sarà organizzato un servizio di prevenzione che si occupi del monitoraggio degi stabilimenti di produzione e dei magazzini degli importatori dei prodotti cosmetici.

Questa disciplina prevede, inoltre, una novità: l’introduzione di una “clausola di riservatezza” (art. 8-bis: quest’ultimo concetto era già presente all’art. 29, lett. i), della legge comunitaria per il 1994).

Infatti per motivi di riservatezza è possibile, facendo domanda al Ministero della sanità, che alcuni ingredienti possano essere sostituiti da un numero assegnato dal Ministero stesso al termine di una procedura amministrativa volta ad appurare l’esigenza di non fare la specificazione.

Il numero è composto, per esempio, così: 1998 (anno di ottenimento della clausola di riservatezza) / 05 (numero attribuito all’Italia) / 123 (numero attribuito dal Ministero).

 

(13) Qui l’etichetta svolge le funzioni che il marchio ha parzialmente perduto: pensiamo ai marchi celebri che sono oggetto di contratti di sfruttamento commerciale per attirare la clientela sugli oggetti più disparati (non solo automobili da corsa, ma poi anche orologi, capi di abbigliamento, profumi e quant’altro): merchandising. Il marchio qui perde la funzione di determinare l’origine del prodotto e di predicare qualcosa della sua qualità ma è solo un simbolo con una valenza commerciale. L’etichetta recupera al consumatore i dati sull’origine del prodotto e sulle sue caratteristiche.

 

(14) Cfr. la decisione della Commissione Ce, 1 maggio 1996 e dell’8 maggio 1996, in G.U.C.E., 1 giugno 1996, n. L 132.

Non sono considerati ingredienti: le impurezze contenute nelle materie prime utilizzate; le sostanze tecniche secondarie utilizzate nella fabbricazione, ma che non compaiono nella composizione del prodotto finito; le sostanze utilizzate nei quantitativi assolutamente indispensabili come solventi o vettori di composti odoranti o aromatizzanti (questi ultimi debbono essere indicati come “profumo” o “parfum” e “aroma”).

Se gli ingredienti sono inferiori all’1% possono essere menzionati in ordine sparso dopo quelli di concentrazione superiore all’1%.

 

(15) I prodotti cosmetici da trucco venduti in varie gamme di colori possono indicare l’insieme dei coloranti utilizzati (è più pratico per coloro che producono i contenitori e gli involucri/imballaggio secondario) con l’indicazione “può contenere” e il simbolo +/−.

 

(16) In S.O. alla G.U., serie generale, 1 marzo 1997, n. 58.

 

(17) In G.U., 18 agosto 1998, n. 191.

 

(18) A sua volta l’art. 37, comma 1 e 2, d.lgs. 3 febbraio 1997, n. 52, concernente classificazione, imballaggio ed etichettatura delle sostanze pericolose è attuato dal regolamento del Ministero della Sanità 28 aprile 1997, in G.U., 19 agosto 1997, n. 192, suppl. ord. n. 164. Il regolamento ministeriale è molto complesso e consta di ben quattro volumi dedicati alla classificazione delle sostanze pericolose e alla prescrizione delle specifiche tecniche per la loro segnalazione sulle etichette: ad ogni sostanza è assegnato un numero indice di registrazione.

Le sostanze sono elencate in funzione del numero atomico dell’elemento più caratteristico delle loro proprietà e sono raggruppate talvolta in gruppi omogenei per le caratteristiche delle medesime, cui sono da ricollegare comuni regole di etichettatura (questo se le sostanze sono messe in commercio ed appartengono alla classificazione Einecs o Elincs).

Il numero di ogni sostanza è rappresentato da una sequenza numerica del tipo ABC – RST – VW – Y dove ABC rappresenta il numero atomico dell’elemento chimico più caratteristico (preceduto da uno o due zeri per completare la sequenza) o il numero della categoria convenzionale relativa alle sostanze organiche; RST rappresenta il numero progressivo delle sostanze considerate nella sequenza ABC; VW indica la forma di cui la sostanza viene prodotta o immessa in commercio; Y rappresenta la cifra di controllo (check-digit) calcolata secondo il metodo utilizzato dall’ISBN (International Standard Book Number): per esempio il clorato di sodio è il numero 017-005-00-9.

Per le sostanze pericolose incluse nell’inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti a carattere commerciale (EinecsG.U., 15 giugno 1990, n. C 146 A) viene indicato anche il numero Einecs, rappresentato da una sequenza di sette cifre XXX-XXX-X che inizia da 200-001-8.

Per le altre sostanze pericolose notificate ai sensi della normativa comunitaria viene indicato il numero della sostanza dell’elenco europeo delle sostanze chimiche notificate (Elincs). Detto numero è rappresentato da una sequenza di sette cifre secondo le modalità ut supra che inizia da 400-010-9.

Viene anche indicato il numero CAS (Chemical Abstract Service) per facilitare l’identificazione della sostanza: il numero CAS potrebbe non coincidere con la numerazione Einecs oppure Elincs.

Le sostanze non comprese negli elenchi Einecs oppure Elincs sono designate con una denominazione chimica riconosciuta a livello internazionale (per esempio ISO, IUPAC) oppure secondo il nome comune.

Se una sostanza pericolosa ha più di tre componenti (è composta) non viene solitamente indicato il numero CAS, Einecs oppure Elincs.

Viceversa le specifiche tecniche che vengono ricollegate ad ogni sostanza numerata dal regolamento ministeriale concernono la classificazione secondo categore di pericolo (per esempio E cioè esplosivo, F+ altamente infiammabile; F cioè facilmente infiammabile; R 10 cioè infiammabile; T+ altamente tossico; T cioè tossico; Xn cioè nocivo; C cioè corrosivo, O cioè comburente; Xi cioè irritante; Carc. Cat. cioè cancerogeno e via dicendo).

E l’etichetta deve comprendere tutti i simboli di pericolo e le indicazioni di pericolo, facendo attenzione a menzionare le c.d. frasi di rischio “R” indicative dei rischi particolari della sostanza: i consigli di prudenza.

Per potere valutare il grado di pericolosità ed analizzare la natura delle componenti delle sostanze pericolose, inoltre, il regolamento ministeriale prevede la messa a punto di specifici tests sullo schema di quelli ideati dalle organizzazioni internazionali competenti (in particolar modo l’OCSE). Se tali metodi non fossero disponibili si debbono adottare metodi consolidati nell’ambiente scientifico: se si fa utilizzo di un metodo alternativo, di questo fatto si deve tenere conto nella notificazione all’unità di notifica presso l’Istituto Superiore di Sanità ex combinato disposto degli artt. 7, 8 e 27 del d.lgs. n. 52/1997).

 

(19) Secondo le previsioni del d.lgs. n. 52/1997 l’Autorità competente è l’unità di notifica costituita presso l’Istituto Superiore di Sanità: il disposto dell’art. 13, paragrafo 1, quinto trattino della predetta direttiva fa riferimento ad un elenco di sostanze recentemente aggiornato con Direttiva n. 93/90/CE della Commissione del 29 ottobre 1993.

Inoltre il d.lgs. 52/1997 prevede che l’attuazione della Direttiva n. 67/548/CEE sarà fatta con decreto del Ministro della sanità, emanato di concerto col Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato e col Ministero dell’ambiente, ogni volta che la direttiva preveda poteri discrezionali degli Stati membri per il proprio recepimento. Il predetto criterio dovrà essere applicato anche alle direttive comunitarie già emanate ma non ancora recepite dall’ordinamento italiano.

 

(20) Il decreto non si applica ai medicinali, agli alimentari, ai cosmetici, agli alimenti per animali, agli antiparassitari e alle sostanze radioattive e alle altre sostanze o preparati per cui esistono già procedure comunitarie di notifica o di approvazione sulla base di requisiti equivalenti a quelli stabiliti col decreto n. 52/1997 (v. allegato A del decreto, cfr. art. 1, comma 2: l’allegato sarà aggiornato dal Ministero della Sanità in conformità con le disposizioni comunitarie).

Il decreto non si applica nemmeno al trasporto delle sostanze e preparati pericolosi per ferrovia, su strada, per via fluviale, marittima o aerea; alle sostanze e preparati in transito soggetti a controllo doganale quando non sono oggetto di trattamento o trasformazione (art. 1, comma 3, lett. a), del decreto).

 

(21) L’art. 36, comma 1, d.lgs. 3 febbraio 1997, n. 52 (“Apparato sanzionatorio”) prevede che chiunque immetta nel mercato le sostanze pericolose in violazione delle disposizioni in tema di imballaggio ed etichettatura ex artt. 19, 20, 21 e 22, nonché in violazione delle disposizioni sulla classificazione “è punito con l’ammenda da lire duecentomila a lire dieci milioni” e, prosegue il 2° comma, “nei casi di maggiore gravità si applica anche la pena dell’arresto fino a sei mesi”.

Queste disposizioni non paiono, però, applicarsi al commerciante al dettaglio “che pone in vendita o comunque distribuisce per il consumo sostanze pericolose in confezioni originali, sempreché non sia a conoscenza della violazione e la confezione originale non presenti segni di alterazione”.

 

(22) Le sostanze pericolose sono classificate come esplosivi (art. 2, comma 2, lett. a)), comburenti (lett. b)), sostanze estremamente infiammabili (lett. c)), sostanze facilmente infiammabili; sostanze infiammabili con un punto basso di infiammabilità.

Il pericolo di letalità o di lesioni personali acute o croniche, poi, è la caratteristica delle sostanze molto tossiche; tossiche, nocive.

Le sostanze corrosive, invece, esercitano un’azione distruttiva se vengono a contatto coi tessuti vivi e da esse vanno distinte le sostanze non corrosive irritanti il cui contatto diretto, prolungato o ripetuto con la pelle o le mucose può provocare una reazione infiammatoria (cfr. art. 2, comma 2, lett. l)).

Le sostanze e i preparati sensibilizzanti, invece, possono dare luogo ad una ipersensibilizzazione per i casi di inalazione o assorbimento cutaneo. Il pericolo è quello di spiacevoli caratteristiche ad ulteriori contatti con le predette sostanze. Gli stessi contatti con la sostanza possono provocare tumori se in essa sono compresi elementi cancerogeni (come, per esempio, l’amianto) (cfr. lett. n)) o difetti genetici ereditari (cfr. sostanze mutagene) o effetti tossici per il ciclo riproduttivo (effetti nocivi non ereditari per la prole o danni a carico della funzione o delle capacità riproduttive maschili o femminili). A questo proposito appare agevole notare che una simile definizione è vaga: in un’etichetta non dovrebbe bastare, per evitare le conseguenze di difettosità del prodotto ex art. 5, d.P.R. n. 224/1988, l’indicazione di una sostanza “sensibilizzante” perché il consumatore capisca e sia edotto del rischio. È necessario evidenziare la natura della sostanza a spiegare le conseguenze nelle quali si potrebbe incorrere.

Le sostanze pericolose per l’ambiente sono, poi, quei preparati che, qualora si diffondano per l’ambiente, presentano o possono presentare rischi immediati o differiti per una o più delle componenti ambientali.

 

(23) Miscele o soluzioni costituite da due o più sostanze, cfr. art. 2, comma 1, lett. b) del decreto.

 

(24) Ogni ulteriore sviluppo di una sostanza nel corso del quale i settori di applicazione della sostanza stessa vengano controllati utilizzando impianti pilota o prove di produzione.

 

(25) Sono notificati gli atti, con le informazioni richieste, presentati all’unità di notifica di cui all’art. 27 o all’autorità competente di altro Stato membro dell’Unione europea, dal notificante (fabbricante che immette sul mercato una sostanza in quanto tale o incorporata in un preparato oppure, per le sostanze fabbricate fuori dell’Unione europea, la persona stabilita nell’Unione europea che sia responsabile dell’immissione sul mercato comunitario di una sostanza, in quanto tale o incorporata in un preparato, o la persona stabilita nella Comunità che, allo scopo di presentare una notifica per una sostanza determinata immessa nel territorio comunitario, in quanto tale o incorporata in un preparato, è designato dal fabbricante come suo unico rappresentante).

 

(26) La messa a disposizione di terzi e, in ogni caso, l’importazione nel territorio doganale dell’Unione europea.

 

(27) Inventario europeo delle Sostanze Commerciali Esistenti sul mercato comunitario alla data del 18 settembre 1981.

 

(28) È così abrogata la legge 29 maggio 1974, n. 256 e successive modificazioni e dei d.P.R. 24 novembre 1981, n. 927 e 20 febbraio 1988, n. 141.

 

(29) Pubblicato in G.U., 19 agosto 1997, n. 164, suppl. ord.

Fino all’emanazione del decreto, che doveva essere predisposto entro il 30 aprile 1997, si faceva riferimento all’Allegato I del decreto del Ministero della sanità 16 febbraio 1993, pubblicato nella G.U., suppl. ord., 20 maggio 1993.

 

(30) I simboli di pericolo debbono essere conformi all’Allegato II del d.lgs. n. 52 del 1997 e debbono avere caratteri neri su fondo giallo-arancione.

Per le sostanze che non rientrano nell’elenco di cui al decreto del Ministero della sanità si debbono utilizzare i simboli di pericolo di cui all’allegato II avendo riguardo alle norme di raccordo (tra i simboli pensati per le sostanze elencate e le sostanze non elencate) di cui allo stesso decreto.

Ai sensi dell’art. 21, comma 3, “il colore e la presentazione dell’etichetta o dell’imballaggio… devono essere tali da far risaltare con chiarezza il simbolo di pericolo sul suo fondo”.

 

(31) Anche l’utilizzo di frasi che stanno ad indicare un rischio (frasi “R”) debbono essere formulate in modi particolari che sono stabiliti dal decreto del Ministero della sanità n. 164 del 1997 e che dallo stesso decreto sono abbinate alle sostanze cui si riferiscono. Il predetto decreto, poi, elenca anche frasi che contengono consigli di prudenza (frasi “S”): per l’abbinamento vale lo stesso discorso di cui sopra (lett. d) ed e).

 

(32) Cfr. l’art. 21, comma 1: “se le diciture di cui all’art. 20 figurano su un’etichetta, questa deve essere solidamente apposta su uno o più lati dell’imballaggio, in modo da consentirne la lettura orizzontale quando l’imballaggio si trova in posizione normale”.

 

(33) Inoltre la legge prevede un’alternativa all’etichetta consistente nell’indicare sull’imballaggio, ben visibili, le informazioni richieste secondo le stesse modalità che sono di seguito descritte (e valgono anche per il caso di imballaggi esterni che ne contengono altri: in questo caso l’apposizione su di essi delle etichette conformi al regolamento internazionale sul trasporto delle merci pericolose è sufficiente a soddisfare le prescrizioni del d.lgs. n. 52/1997, purché l’imballaggio/i interno/i siano provvisti di un’etichettatura conforme al decreto) (cfr. art. 21, comma 6, lett. a).

Se si tratta di un imballaggio unico, invece, è sufficiente che siano apposte su di esso le informazioni delle norme internazionali di trasporto delle sostanze pericolose e che siano rispettati i requisiti dell’art. 20 (denominazioni, frasi “R” ed “S” ecc.), tranne per quanto riguarda i simboli di pericolosità che debbono essere apposti direttamente sulla confezione: così mi pare di poter interpretare il portato dell’art. 21, comma 6, lett. b).

Se l’imballaggio è di dimensione ridotta o è altrimenti inadatto per consentire un’etichettatura conforme alle prestazioni del d.lgs. n. 52/1997, l’etichetta potrà essere realizzata “in scala”, cioè di dimensioni ridotte, in ogni caso non essendo inferiore a 10 centimetri quadri e il simbolo deve misurare almeno un centimetro quadro (cfr. art. 22, comma 2). Altrimenti il Ministero della sanità, di concerto con quello dell’industria e dell’ambiente e del lavoro, stabilirà le caratteristiche dell’etichetta (art. 22, comma 3). Come? Il d.lgs. non lo dice e quindi due sono le vie: o una determinazione fatta di volta in volta (ma è molto scomodo) oppure con l’ennesimo decreto che, però, non potrà essere molto preciso perché i problemi da risolvere variano a seconda della forma e delle concrete dimensioni del prodotto.

Se si tratti di sostanze non esplosive, molto tossiche o tossiche (magari sono solo corrosive o… cancerogene) può escludersi l’etichetta in casi che il Ministero della sanità stabilirà o si possono comunque utilizzare delle diverse modalità di etichettatura quando tali sostanze siano presenti in “quantitativi talmente limitati da non comportare alcun pericolo sia per le persone che manipolano tali sostanze che per terzi” (art. 22, comma 4).

 

(34) Appaiono essere fuori dal campo di applicazione delle prescrizioni degli artt. 19 (imballaggi), 20 e 21 (etichette) i prodotti che consistono in munizioni ed esplosivi per effetti pirotecnici che hanno norme specifiche e, fino al 30 aprile 1997 il propano ed il gas di petrolio liquefatto (gas liquido) (art. 22, comma 1).

 

(35) In alcuni casi le etichette e le schede informative sono strumenti fondamentali per garantire un accettabile livello di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.

Pare, inoltre, che in quella sede tali dati non possano essere disattesi al momento della valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro (che si potrebbe anche identificare − all’evenienza − con la direzione generale dotata di adeguati poteri gestionali e di spesa) e debbano essere sempre tenute presenti dai responsabili del servizio di prevenzione e la protezione (P. & P.) nonché dagli (eventuali) addetti al medesimo servizio (esecutori delle disposizioni in materia di sicurezza, prevenzione e protezione diramate dal datore di lavoro).

 

(36) La scheda informativa fornita dal fabbricante, dall’importatore, dal distributore che immette sul mercato una sostanza pericolosa deve essere gratuita, cartacea o elettronica. Essa deve essere consegnata in occasione o anteriormente alla prima fornitura. Sono obbligatorie anche una le schede di aggiornamento contenenti ogni nuova informazione concernente l’impatto della sostanza fornita sull’ambiente e la salute.

La scheda informativa, in lingua italiana, rispetta le prescrizioni di cui al d.m. 4 aprile 1997, il cui allegato II qualifica obbligatorie voci quali gli elementi identificativi della sostanza o del preparato e della società/impresa; la composizione-informazione sugli ingredienti; l’indicazione dei pericoli; le misure di pronto soccorso; le misure antincendio; le misure in caso di fuoriuscita accidentale; la manipolazione e lo stoccaggio; il controllo dell’esposizione/protezione individuale; le proprietà fisiche e chimiche; la stabilità e la reattività; le informazioni tossicologiche ed ecologiche; le considerazioni sullo smaltimento delle scorie di tali prodotti; le informazioni sul trasporto; le informazioni sulla regolamentazione e le altre informazioni.

 

(37) Si distingue tra beni contenenti le seguenti sostanze (cfr. Allegato A del d.lgs. 285/1998):

− molto tossiche e tossiche: queste sostanze hanno effetti acuti letali e le sostanze tossiche possono avere anche solo effetti irreversibili non letali o semplicemente a lungo termine;

− nocive: possono avere effetti irreversibili non letali dopo un’unica esposizione o effetti di sensibilizzazione per inalazione;

− molto corrosive: possono provocare gravi ustioni;

− corrosive: possono provocare ustioni;

− capaci di procurare lesioni oculari gravi;

− irritanti per la pelle;

− irritanti per gli occhi;

− irritanti per le vie respiratorie;

− cancerogene;

− preoccupanti per l’uomo per effetti cancerogeni: la differenza con la voce precedente dipende dal rapporto del peso della sostanza cancerogena rispetto al peso del prodotto;

− mutageni;

− da trattarsi come mutageni (contrassegno col simbolo di pericolo ed indicazione di pericolo nocivo);

− preoccupanti per l’uomo per effetti mutageni;

− tossici per il ciclo riproduttivo: simbolo del pericolo e dizione di “pericolo tossico”;

− tali da trattarsi come tossici per il ciclo riproduttivo: ci si riferisce a prodotti che contengono sostanze che producano tali effetti. Sul prodotto deve essere raffigurato un segnale di pericolo “nocivo”.

 

(38) Queste indicazioni debbono essere presenti sull’etichetta:

a) denominazione o nome commerciale del preparato;

b) nome e indirizzo completi, compreso il numero di telefono, del responsabile dell’immissione sul mercato stabilito nella UE, che può essere il fabbricante, l’importatore o il distributore;

b) il nome chimico delle sostanze presenti nel preparato responsabili dei rischi più rilevanti per la salute che hanno dato luogo alla classificazione e alla scelta delle corrispondenti frasi di rischio (cfr. supra nota n. 30);

d) i simboli e le indicazioni di pericolo conformi, rispettivamente, agli Allegati I e II del D.M. Sanità del 28 aprile 1997;

e) le indicazioni dei rischi specifici, in conformità all’Allegato III del citato D.M.;

f) i consigli di prudenza secondo le indicazioni dell’Allegato IV del D.M.;

g) il quantitativo nominale del contenuto, cioè la massa nominale o volume nominale, nel caso di preparati venduti al dettaglio.

 

(39) L’etichetta non è necessaria quando è l’imballaggio stesso a recare ben visibili le indicazioni riportate nel testo (cfr. art. 6 comma 2). E requisiti di visibilità e chiarezza dei simboli sono prescritti anche dal terzo comma dell’art. 6 (colori e presentazione dell’etichetta o dell’imballaggio).

 

(40) Qualora, poi, l’imballaggio (anche se si tratta di un imballaggio unico: probabilmente, trattandosi di prodotti pericolosi, nella maggioranza dei casi vengono utilizzate delle cautele di trasporto del prodotto che comportano l’adozione di più imballaggi uno dentro l’altro) già rechi su di sé un’etichetta conforme ai regolamenti internazionali relativi al trasporto del preparati pericolosi, o l’imballaggio/i interno/i è/sono provvisto/i di un’etichettatura adeguata ai sensi del d.lgs. 285/1998, i requisiti di etichettatura si hanno per soddisfatti (art. 6 comma 4 lett. a).

 

(41) Tali Decreti saranno immediatamente comunicati alla Comunità Europea.

 

(42) Tra le informazioni da trasmettere si deve annoverare anche la composizione chimica da utilizzare esclusivamente a scopi sanitari in vista di misure preventive o curative da adottare, in particolare, in caso di emergenza (art. 10 comma 1).

 

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