22
Dic2017

SE MANCA L’ASTERISCO: CUCINE O FORSE CONTESTAZIONI DA INCUBO?

La notizia della recente contestazione per (presunta) frode in commercio, elevata al famoso ed apprezzato cuoco Antonino Cannavacciuolo, riporta all’attenzione un tema molto controverso per la ristorazione nazionale: l’utilizzo o meno dell’asterisco per gli ingredienti congelati impiegati per la preparazione di alimenti somministrati agli avventori, e le sue conseguenze anche penali.

Un tema spesso mal compreso sia dagli operatori privati che dalle autorità procedenti: la questione, infatti, non è la violazione di un requisito specifico bensì la tutela della aspettativa dell’avventore/consumatore, aspettativa che non sempre e non necessariamente può essere soddisfatta con un anonimo asterisco…. come cerchiamo di spiegare in questo post.

A questo fine riproponiamo quindi l’articolo, già apparso sulla rivista Ristorando, che riassume l’intervento dell’avv. Daniele Pisanello alla tavola rotonda “Fresco, Surgelato, Asteriscato”, organizzata nell’ambito della prestigiosa convention di Follow Artù.

In quella occasione, come si vedrà leggendo l’articolo o visionando il video, fu posto in evidenza sul piano giuridico che, dal punto di vista generale occorrerebbe uno sforzo di comunicazione teso a rendere note le moderne (e ineludibili) condizioni della ristorazione moderna, anche di qualità; dal punto di vista del singolo operatore, invece, si ebbe modo di sottolineare che una organizzazione interna vagliata alla luce della legislazione alimentare e la predisposizione di procedure e position papers da impiegarsi nel caso di controlli ufficiali appare la strada più consona per ridurre i rischi penali potenzialmente derivanti dallo svolgimento di ispezioni da parte delle numerose autorità  – spesso solo formalmente – competenti. Buona lettura e buon anno nuovo.

ASTERISCO SUI MENÙ: DA DOVE VIENE E DOVE CI STA PORTANDO

Articolo dell’Avv. Daniele Pisanello, già pubblicato in Ristorando, ottobre 2017.

Per affrontare correttamente il tema delle conseguenze sanzionatorie connesse all’annosa questione dello «asterisco« nei menù occorre subito sgomberare il tavolo da alcune inesattezze: non esiste nessun obbligo di legge che imponga specificamente l’uso dell’asterisco per indicare gli ingredienti surgelati.  Non lo prevede la legge italiana, né lo prevede il regolamento UE n. 1169/2011 che pure ha introdotto numerose e significative innovazioni a carico della ristorazione, come bene sanno i lettori di questa rubrica di Diritto Alimentare di Ristorando.

Se dunque non esiste un obbligo di tal genere, allo stesso tempo, vige una regola generale volta ad assicurare la lealtà delle transazioni commerciali: si tratta del delitto di frode nell’esercizio del commercio, sanzionato all’art. 515 c.p.: il consegnare (o tentare di) una merce diversa per origine, provenienza, qualità o quantità, da quella dichiarata o pattuita, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065, salvo che non sia configurato un più grave delitto.

Il punto di caduta del nostro discorso è il principio per il quale chi acquista un prodotto alimentare a qualunque titolo deve essere messo nelle condizioni di conoscerne la condizione effettiva. Su tale elemento si innesta il ragionamento dai Tribunali penali secondo cui il consumatore medio avrebbe una aspettativa presunta per la quale le pietanze somministrate in un ristorante sarebbero il risultato di ingredienti esclusivamente freschi.

A ciò si salda un secondo assunto implicito e, da un certo punto di vista, apodittico: che un prodotto congelato, refrigerato, surgelato abbia caratteristiche organolettiche, di fragranza e di gusto diverse e – per definizione – deteriori rispetto al prodotto fresco.

Tale ultimo assunto in realtà trascura la realtà moderna della ristorazione collettiva o per lo meno di una sua porzione rilevante: il garantire pietanze in linea con gli stringenti requisiti di sicurezza alimentare e con una qualità finale del prodotto-servizio in modo continuativo e sostenibile economicamente.

Questo dato di fatto è evidentemente disconosciuto dalla giurisprudenza che, per l’appunto, nel giudicare delle accuse di frode nell’esercizio parte dal presupposto della descritta aspettativa tacita e presunta dell’avventore. Assai di recente la Cassazione si è pronunciata in materia affermando che: “la detenzione di alimenti congelati o surgelati all’interno di un esercizio commerciale senza che nella lista delle vivande sia indicata tale qualità, integra il reato di tentativo di frode in commercio atteso che tale comportamento è univocamente rivelatore della volontà dell’esercente di consegnare ai clienti una cosa diversa da quella pattuita” (Cass. n. 23099 del 13/4/2007).

Nello stesso senso si è pronunciata la Cassazione con sentenza n. 14806/2004 e con quella n. 19395 del 2002.

Rigorosissima la Suprema Corte in una pronuncia (la n. 12107 del 24/9/1999) nella quale afferma che, nell’ambito della ristorazione per la quale si impieghino prodotti surgelati, la frode in commercio è configurabile non solo quando ne venga omessa l’indicazione nel menù ma anche quando tale indicazione venga fatta con caratteri molto piccoli e posti al margine inferiore estremo della lista e in senso verticale in maniera tale da poter sfuggire all’attenzione dei clienti.

Sul piano giuridico che, dal punto di vista generale occorrerebbe uno sforzo di comunicazione teso a rendere note le moderne (e ineludibili) condizioni della ristorazione moderna, anche di qualità; dal punto di vista del singolo operatore, vale considerare che una organizzazione interna vagliata alla luce della legislazione alimentare e la predisposizione di procedure e position papers da impiegarsi nel caso di controlli ufficiali appare la strada più consona per ridurre i rischi penali potenzialmente derivanti dallo svolgimento di ispezioni da parte delle numerose autorità  – spesso solo formalmente – competenti.

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