09
Feb2018

FOOD INFORMATION: L’ITALIA S’E’ DESTA

Atteso da oltre tre anni, il decreto legislativo n. 231 del 15 dicembre 2017, recante la disciplina sanzionatoria in tema di informazione sui prodotti alimentari, è stato pubblicato l’8 febbraio 2018. Le nuove norme ridefiniscono, da un lato, il quadro sanzionatorio per le violazioni al regolamento generale in tema di food information (Reg. (UE) n. 1169/2011) e, dall’altro, ridisegnano le regole nazionali nelle materie non armonizzate, sostanzialmente relative agli alimenti non preimballati, agli alimenti somministrati dalle collettività (ristorazione collettiva), la gastronomia e take-away della GDO, i semi-trasformati. Il decreto entrerà in vigore il 9 maggio 2018, con una clausola di smaltimento scorte aperta (senza un termine finale).

Confrontato con il precedente decreto (d.lgs. 109/1992), il decreto legislativo n. 231/2017 evidenzia un tendenziale inasprimento formale delle pene edittali accompagnato, però, da meccanismi compensativi e premiali che si risolvono, a ben guardare, in una generale riduzione del carico afflittivo.

In primo luogo, a tutte le violazioni disciplinate dal decreto sarà applicabile un abbattimento del 30% della sanzione amministrativa, già determinata in misura ridotta (ai sensi dell’articolo 16 della l. n. 689/1981) ove il pagamento sia effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione. Così, ad esempio, nel caso di etichettatura ritenuta ingannevole, col vecchio decreto, il pagamento in misura ridotta consisteva in € 6.000, stessa somma con il nuovo decreto che, però, consente oggi l’ulteriore riduzione a € 4.800 (-30%)  se pagati entro 5 giorni e quindi senza ricorrere o presentare scritti difensivi. Altre volte il vantaggio può essere meno rilevate o assente: è il caso della mancata indicazione del TMC, ipotesi sanzionabile in base al vecchio decreto con la somma di € 1.200 (doppio del minimo), e ora, col decreto n. 231/2017, con € 2.000, riducibili a 1.400 se il pagamento è effettuato entro 5 giorni.

In secondo luogo, si deve accennare alla applicazione a queste violazioni del meccanismo della diffida, già previsto dal decreto Campolibero (decreto-legge n. 91/2014) per le violazioni «agroalimentari», oggetto oscuro rimasto invischiato nelle diatribe interpretative tra MIPAAF e il Ministero della Salute. Ciò che qui conta è che, per le violazioni regolate dal d.lgs. n. 231/2017, l’Ispettorato Repressioni Frodi (organo competente alla irrogazione delle sanzioni), ove accerti «per la prima volta l’esistenza di violazioni sanabili», dovrà prima adottare delle prescrizioni di correzione e diffidare l’interessato ad adempiervi entro il termine (inderogabile) di venti giorni; solo in caso di mancata ottemperanza da parte dell’operatore diffidato quest’ultimo potrà essere passibile della irrogazione della pena pecuniaria determinata dall’autorità competenza e senza il beneficio del pagamento in misura ridotta.

Il legislatore ha profuso ulteriori sforzi al fine di favorire comportamenti virtuosi di ravvedimento operoso: è il caso della disposizione relativa ad alimenti etichettati senza la completa o corretta indicazioni degli allergeni e pertanto «a rischio» ai sensi del regolamento n. 178/2002: tema rilevante sia per il consumatore ma anche per l’impresa, costretta a gestire situazioni di crisi spesso molto complesse. Secondo il decreto, l’avvio tempestivo di procedure di ritiro può valere a elidere l’applicazione della sanzione amministrativa da 5.000 a 40.000 euro per la mancata indicazione di un allergene. Si contenga però l’entusiasmo; vi sono infatti alcuni limiti congeniti, uno dei quali è la clausola di cedevolezza penale; se il fatto è previsto come reato, la regola premiale non si applica e, ben si sa come, a legislazione penale invariata (e salvo non imminenti sviluppi del progetto Caselli in materia di reati alimentari), nel caso di allergeni non dichiarati la contestazione penale ex lege n. 283/1962 se non anche un delitto sanitario del codice penale è tecnicamente configurabile.

Il decreto non ha accolto l’invito a richiamare espressamente la disciplina della recente legge n. 166 del 2016 che – all’art. 3, comma 4 – già prevede che «gli alimenti che presentano irregolarità di etichettatura che non siano riconducibili alle informazioni relative alla data di scadenza o alle sostanze o prodotti che provocano allergie e intolleranze, possono essere ceduti ai soggetti donatari»; la cessione disciplinata dal legislatore è a titolo gratuito, è relativa a eccedenze ed è finalizzata all’eliminazione degli sprechi alimentari.

Il decreto nazionale fornisce un tentativo di definizione dei rapporti tra il produttore apparente (pensiamo al private label) e il produttore reale, stabilendo che la sostituzione del nome e indirizzo del produttore in luogo dell’operatore nel cui nome/marchio il prodotto è commercializzato è sanzionabile con pena da 3.000 a 24.000 euro.

Alla luce di questa prima valutazione è evidente che questo decreto si segnala più che per le singole sanzioni per l’impatto generale e di sistema nella dinamica della gestione della conformità.

Condividi
Articoli recenti
Contattaci

Autorizzo all'utilizzo dei miei dati per la risposta, come da informativa sulla privacy policy

Newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter

Iscriviti
error: Contenuto protetto !